Dipingere la personalità di Arnold “Red” Auerbach a rapide pennellate è impresa sovrumana. Le mille sfaccettature di quest’uomo complesso sfuggono a qualsiasi “cliché”, ed ogni definizione rischia di essere parziale e banale. Tanto che solo un libro potrebbe sviluppare tutti i lati del suo carattere, ma del resto anche le svariate biografie a lui dedicate non sempre sono riuscite a coglierne appieno l’essenza. Un carattere particolare in cui mille contraddizioni mugghiavano come un mare in tempesta, Auerbach ha segnato la storia dell’NBA per cinquant’anni prima come allenatore e poi come General Manager. Anche quando i problemi di salute derivanti dall’età avanzata ne hanno limitato il ruolo e l’influenza, la sua presenza ha continuato a riscaldare i cuori e le menti dei Celtics, a ricordare che la loro missione era quella di tornare nelle zone nobili della classifica.
Red” se n’è andato in una grigia giornata di fine ottobre del 2006, ma ha lasciato un’eredità ricchissima al Trifoglio, all’NBA ed alla storia dello sport. Nel 1956 mandò Ed Macauley e Cliff Hagan a St.Louis in cambio della scelta di Bill Russell. Nel 1978 scelse Larry Bird un anno prima che finisse l’iter universitario. Nel 1980 scambiò la prima scelta con Robert Parish e la scelta di Kevin McHale. Nel 1951 inserì in uno scambio un giocatore di baseball, Bill Sharman, e nel 1981 usò una seconda scelta per assicurarsi un altro giocatore di baseball, Danny Ainge. Entrambi finirono per passare al basket e vincere dei titoli all’ombra del Boston Garden. Ognuna di queste mosse geniali sarebbe valsa gloria imperitura al manager che le avesse completate, ma in questo caso parliamo di un solo manager, IL manager, IL coach per eccellenza.
Era il 20 settembre 1917, Hyman Auerbach prese in braccio il figlio appena nato e di certo non pensava che quel fagottino sarebbe diventato uno degli uomini sportivi più famosi d’America. Fuggito da Minsk nell’odierna Bielorussia per evitare i pericoli dell’ennesimo “pogrom”, “Hymie” si era dedicato ad una vita di lavoro duro nella Brooklyn di inizio Novecento. Lì aveva conosciuto Mary Thompson e dall’amore al matrimonio alla nascita di Victor, il primogenito, non era passato molto. Tre anni dopo era arrivato Arnold a cui avevano fatto seguito Zang e Florence. La famiglia abitava nella zona di Williamsburg al 246 di Lynch Street, ad un passo dalle sopraelevate sulle quali sferragliavano i treni che passando su Broadway collegavano Brooklyn al resto della città.
Fin da piccolo Arnold, che portava orgogliosamente una capigliatura rossa, era stato identificato come l’atleta della famiglia. Mentre Zang era l’artista (un po’ di anni dopo avrebbe disegnato il “leprechaun” in bombetta che è ancora il logo dei Celtics) e Victor era lo studente, “Red” era più portato alle attività fisiche, tanto che quando c’era da dare una mano in casa o da aiutare papà a “pressare” i vestiti nella lavanderia di famiglia, era sempre lui a darci dentro. La vita di un ragazzino ebreo nella Brooklyn degli Anni Venti non era facile, e “Red” imparò presto che nelle risse spesso chi sferra il primo pugno vince.
Dalle scuole pubbliche passò al liceo di Eastern District e cominciò a farsi un nome tra i migliori cestisti di New York. Era un discreto studente ma non eccezionale perché, sebbene brillante, preferiva incanalare le sue energie nella pratica dei canestri. Attenzione, la media di 88 su 100 fatta registrare al liceo era ottima ma non sufficiente per poter entrare nei migliori atenei cittadini. Ripiegò quindi su Seth Low Junior College, nella speranza di attirare l’interesse di qualche università di spicco. Cosa che puntualmente accadde dopo un’amichevole in cui Seth Low aveva dato filo da torcere alla più prestigiosa George Washington University: il coach dei “Colonials”, il grande Bill Reinhart, vide il “rosso” e gli offrì subito una borsa di studio.
Nei tre anni a George Washington la vita di Arnold cambiò radicalmente: si laureò in Educazione Fisica, completò un “master”, conobbe una bella studentessa di nome Dorothy (che avrebbe sposato) ed imparò il “sistema” di Bill Reinhart, esperienza che sarebbe risultata decisiva negli anni futuri. Il coach del Coach predicava disciplina, contropiede e fondamentali – tutti tratti che sarebbero entrati nel gioco dei Celtics negli anni ’50 e ’60 – ed il suo metodo funzionava: Auerbach da giocatore vinse 38 delle 57 partite giocate. A volte Reinhart usava degli stratagemmi per tirare fuori il meglio dai suoi giocatori: quando Jimmy Hull, stella di Ohio State, usò il suo tiro in gancio per avere la meglio su “Red”, l’allenatore dei “Colonials” lo “panchinò” per alcune partite. E quando fu la volta di affrontare Army, la squadra dell’esercito guidata dalla stellina Walter Brinker, Reinhart disse ad Auerbach: “Brinker lo prendi tu”.
Inutile dire che il povero “marmittone” non vide palla contro un giocatore che il “panchinamento” aveva tramutato nella belva di Brooklyn. Per racimolare qualche dollaro “Red” collaborava anche con l’NYA, il dipartimento che si prendeva cura dei giovani “problematici”, ed in questa specie di carcere minorile il giovane newyorchese imparò salutari lezioni sul rispetto e sulla fiducia. Nell’estate del 1943 Bill Reinhart era il comandante della Norfolk Naval Station ed ovviamente continuava a tenere d’occhio il pupillo: “Red” si arruolò e per tre anni comandò la Scuola degli Istruttori di Educazione fisica della Marina.
Quando si congedò con il grado di Tenente nell’estate del 1946 venne a sapere che i proprietari delle franchigie dell’hockey stavano mettendo in piedi una lega di basket, e conscio di aver avuto contatti con molti giocatori nei tre anni in divisa, si presentò da Mike Uline, proprietario dei Washington Capitols, affermando con un po’ di sfrontatezza di poter creare una squadra competitiva contenendo i costi. Uline rimase colpito dall’energia di quel giovane, e fu così che iniziò la grande avventura di Auerbach nel mondo dei “pro”. Pochi sanno che il suo primo campionato su una panchina professionistica fu, come bilancio, il migliore: Washington vinse 49 delle 60 partite disputate ma venne eliminata nelle semifinali dell’allora BAA, progenitrice dell’odierna NBA.
I Capitols erano una squadra che praticava un contropiede sfrenato e si affidava alla maestria di un quintetto in cui spiccavano Bill Feerick, “Bones” McKinney e Fred Scolari. Quando nelle due stagioni seguenti non riuscirono a ripetersi seppur giocando campionati di ottimo livello (28-20 e 28-22 i record, con una sconfitta in Finale nel 1949), Auerbach sentì che c’era qualcosa che non andava. Si presentò dal proprietario Mike Uline, chiese un rinnovo di contratto biennale, e quando vide che questo “nicchiava” capì: il suo giocatore Bill Feerick gli stava facendo le scarpe.
“Red”, carattere focoso come sempre, diede le dimissioni: inutile dire che i Capitols di Feerick nel primo campionato compilarono un esangue 32-36 perdendo in semifinale di lega e l’anno dopo chiusero i battenti dopo la peggior partenza di sempre. Auerbach però si era fatto un nome, ormai, e non gli ci volle molto per trovare un’altra panchina. Pochi però sanno che per un breve periodo fece parte dello staff di Duke University. Gerry Gerrard, coach dei Blue Devils, era affetto da un cancro terminale e di lì a poco avrebbe dovuto essere sostituito: i rappresentanti dell’ateneo pensavano che Arnold potesse essere l’uomo giusto.
A “Red” non sembrò vero di poter avere una vita quasi normale, degli amici, e la possibilità di passare il tempo libero con Dorothy e la piccola Nancy. Dopo poche settimane a Durham, però, il peso della realtà cominciò a farsi sentire. I giocatori cominciavano a rivolgersi a lui più che al bravo e malato Gerrard, e Auerbach cominciò a sentirsi quasi colpevole, una specie di avvoltoio che aspettava la morte del collega. La chiamata di Ben Kerner, proprietario dei “Tri-Cities Blackhawks”, mise fine ad una situazione che per il rossocrinito newyorchese stava diventando insopportabile. E così accadde un fatto conosciuto da pochi: “Red” divenne il secondo allenatore nella storia di quelli che oggi sono gli Atlanta Hawks. Solo che a fine anni Quaranta si chiamavano “Blackhawks” ed evoluivano in tre città (Moline e Rock Island, Illinois, e Davenport, Iowa) da cui il nome di “Tri-Cities”.
E fu proprio lì che il geniale coach subì la sua prima stagione “perdente”: prese in mano la squadra dopo che Roger Potter era stato silurato e la condusse ad un dignitoso 28-29 dopo l’1-6 iniziale dello sfortunato collega. Non era un gruppo talentuoso, ma il Coach gli impose una difesa arcigna che limitò i danni ed in qualche modo li portò a rendere al di sopra delle loro possibilità. Non passò molto tempo e sorsero problemi anche col proprietario dei Tri-Cities Blackhawks. Ben Kerner nel gennaio del 1950 impose una trade spedendo John Mahnken ai Celtics in cambio di Gene Englund, ed Auerbach, al quale era stato assicurato che lo scambio non sarebbe stato effettuato, a fine stagione strinse la mano a tutti e fece le valige.
Arnold era stato contattato da Lou Pieri, “owner” dei Providence Steamrollers, per cercare di salvare la franchigia che stava affondando, ma con grande onestà aveva consigliato Pieri di chiudere i battenti. Il materiale umano era di basso livello ed una ricostruzione sarebbe stata molto dispendiosa. Il “paisà” rimase impressionato dalla praticità e dall’intelligenza del giovane coach, e quando il gruppo che gestiva il Boston Garden gli chiese di dare una mano ai Celtics che navigavano in brutte acque, l’uomo d’affari rispose che l’avrebbe fatto a condizione che il nuovo allenatore fosse “Red” Auerbach.
Fabio Anderle (1-segue)