Nel 1998, a 11 anni, non ero ancora una giocatrice di basket: correvo semplicemente dietro alla palla. Il camp estivo in Valsesia era immancabile. Nemmeno quel gigante del mio istruttore, 45 anni, aveva ancora cominciato la carriera di capoallenatore. Si chiamava e si chiama Meo Sacchetti, il tecnico da poco licenziato da Sassari dopo la storica tripletta. Ai miei occhi era un omone mite e sorridente, innamorato di quel gioco che tanto divertiva anche me. Sono stata così l’ultima a stupirsi, molti anni dopo, degli inconfondibili tratti che Meo ha poi impresso alla sua pallacanestro vincente: comunicava già allora la gioia di giocare, innanzitutto. Un marchio che ritrovi anche oggi nelle sue squadre. «Ottenere il massimo dai ragazzi e saper loro trasmettere la fiducia necessaria per giocare senza avere mai paura». Questo il maggior pregio che Sacchetti riconosce a se stesso. Ero una bimba, ma ricordo bene i suoi incoraggiamenti: «Divertiti, non aver timore di sbagliare».
È stato, come sapete tutti, un grande giocatore. Un requisito non necessario per avere successo anche con la lavagnetta in mano. E tuttavia per un ex campione è forse più facile capire come la questione della fiducia sia l’elemento cruciale nella resa di un giocatore. Il suo modo di allenare lascia agli interpreti spazio ed autonomia: chi ha avuto responsabilità sul campo può essere più incline a concederli, senza sentirsene prevaricato o diminuito.
In quei camp Meo allenava maschi e femmine, spesso insieme: ma è la stessa cosa guidare ragazzi di sesso diverso? Una domanda che sento rimbalzare da anni intorno a me. Ovvio, la base tecnica è la stessa, ma si esprime attraverso un diverso atletismo, che richiede altri tempi, spazi e dinamismi. Ogni allenatore deve creare un sistema che valorizzi il capitale umano, che sia uomo o donna. Si tratta quindi di conoscere il gioco per rendergli al massimo giustizia: ma atletismo e tecnica sono solo un paio di componenti. L’altro, più importante ancora, è l’intelligenza emotiva. E qui entriamo nel regno più marcato delle differenze: psicologia, affettività, modelli relazionali. Un campo vastissimo, che non mi permetto di affrontare in poche battute.
La banalizzazione delle differenze di genere rischia di coltivare sterili giudizi di valore. Mi ha colpito a proposito il contributo di Julio Velasco, attuale allenatore della nazionale argentina di pallavolo, che ha avuto in passato esperienze di alto livello con uomini e donne: «Non bisogna credere che la donna perché funziona in maniera diversa ha meno forza di raccogliere le sfide. Però bisogna ricordarsi che quella sfida nella donna deve avere una forte connotazione affettiva ed emotiva, molto più di quanto non accada per gli uomini».
Non esiste un più o un meno, ci sono tante qualità positive proprie della psicologia femminile quanto di quella maschile. Diversi rapporti di fiducia, modi di vivere in gruppo, sicurezze e via così. Non c’è un meglio e un peggio, ma un diverso approccio. Meo Sacchetti aveva capito anche questo, ve l’assicuro.
Giulia Arturi
L’articolo che hai letto è tratto dal mensile Superbasket # 16 del gennaio 2016.