Non è tutta colpa di Aldo Giordani se sono finito a fare il giornalista. Ma sicuramente anche lui ha delle responsabilità, se non altro perché è stato il primo a offrirmi un contratto giornalistico. Era l’inizio degli anni Ottanta e a Superbasket, dove avevo cominciato a collaborare da un po’ grazie ad un mio vecchio allenatore (Sergio Chiesa), si era liberato un posto. Un posto da giornalista, ma con un contratto che proprio giornalistico non era. Presi tempo per pensarci, l’attimo fuggì via, ma dopo pochi giorni arrivò la chiamata de il Giornale di Montanelli e lì non esitai…
Nelle giornate passate in piazza Duca d’Aosta dove in tre stanze (e in corridoio) si cucinava Superbasket però ho imparato tanto. Dal Jordan ho imparato a dare importanza anche ai pallini, i riempitivi, che nascondevano notizie. Era un maestro. Ma come scordare le urla che sentivi quando lui al telefono mandava a quel paese qualche parruccone. O quei viaggi nella nebbia per accompagnarlo a fare qualche telecronaca e a tenergli il tabellino. La sua energia era contagiosa. Anche quando la domenica notte ci si trasferiva in via Negri a impaginare il settimanale, sugli stessi banchi e con gli stessi tipografi che poi divennero amici nelle lunghe notti trascorse a il Giornale (per un caso della vita la tipografia era la stessa).
Grazie al Jordan sono passato dalle cronache delle partite di Serie B alla Serie A in poco più di un anno. Mi faceva scrivere pagine intere. Mi ha fatto assaggiare il sapore di questo lavoro e per questo lo ringrazierò sempre. Perché in quelle stanze di piazza Duca d’Aosta è nato un amore per un lavoro che, nonostante internet, non finirà mai.
Umberto Zapelloni