Il fallimento di Pablo Prigioni a Vitoria riapre il dibattito sulle chance di successo dei grandi giocatori una volta trasferiti in panchina. Nell’immaginario collettivo i grandi playmaker hanno le possibilità migliori di diventare eccellenti allenatori per una questione di ruolo, fosforo, cultura cestistica. In Europa il caso di Zeljko Obradovic è eclatante. Nessuno ora ricorda che Obradovic era un playmaker costruttore degno della nazionale slava quando ancora comprendeva anche croati, sloveni eccetera. In giro per l’Europa ci sono esempi simili, Sasa Obradovic, Sergei Bazarevich è stato un grande playmaker, Oded Katash in Israele. Ovviamente non tutti sono allenatori di primo piano ma sono buoni allenatori. Pablo Laso è migliore come allenatore rispetto a quanto lo fosse da discreto playmaker. Poi però l’elenco include soprattutto “non giocatori” diventati allenatori, Dimitri Itoudis, Javi Pascual, Neven Spahjia, Sito Alonso, Simone Pianigiani. Non esiste una regola, questa la verità. Però il fallimento di Prigioni è stato sorprendente. Considerata l’esperienza da giocatore, star in Europa, nella Nazionale argentina, buonissima carriera NBA sia pure in tarda età. Playmaker di grande intelligenza: Prigioni rappresenta l’identikit perfetto del giocatore la cui transizione in panchina avviene in modo indolore e vincente. Lo pensavano anche a Vitoria e ovviamente hanno sbagliato. La speranza era che fosse un altro Sarunas Jasikevicius. Ma il lituano ha preso in mano lo Zalgiris, senza pressione in Eurolega e con una squadra superiore alle altre in Lituania. Prigioni è finito subito nella morsa infernale di Eurolega e Spagna. Una situazione difficile per un debuttante. Ci sarà un futuro per Prigioni? Forse dovrà ripartire dal basso, una squadra meno ambiziosa, meno esposta o magari fare l’assistente per quanto ingombrante. Il salto diretto campo-panchina non è facile. Mike D’Antoni fece bene come Obradovic o Jasikevicius. Ma in generale all’inizio è più facile per chi ha fatto l’assistente.