La mia serata cestistica avevo quasi esclusivamente uno scopo: capire come Cantù avrebbe assorbito il momento societario, essendo ben conscio che le pendenze economiche verso i giocatori italiani non avrebbero mai e poi mai inficiato la professionalità sul rettangolo parchettato. Eh si, la storia parla di tanti “no money, no basket” e di pochissimi “non sono stato pagato, non gioco”.
Coach Marco Sodini aveva una sola strada da intraprendere nella gestione del gruppo e l’ha codificata perfettamente: “andate e divertitevi” potrebbe essere il motto, peraltro simile a quello che Sacripanti scelse per la Cantù d’assalto di qualche anno fa. Insomma meno tatticismi esasperati e una pallacanestro gradita la folto stuolo di coloured, capitanati da Culpepper. Il risultato è figlio di fiammate ispirate e black out verticali (con poca difesa), con versioni italiane opposte, quella volitiva di Burns e quella indolente di Crosariol.
La Scandone Avellino, dovendo ragionare in funzione dell’eccellenza, registra l’ottimo e rapido inserimento di Ben Ortner ma continua ad essere troppo discontinua nella fase difensiva. Giocare a viso aperto sul proprio campo può risultare un affare, fuori casa già più complesso. Resta il fatto che il roster irpino è strutturato benissimo: due playmaker complementari come Fitipaldo-Filloy, un attaccante come Rich per soluzioni fuori dai giochi, un’abbinata assortita sotto le plance con Fesenko (assente per infortunio) e Ndiaye e un collante cinque stelle come come Leunen (come fu Stonerook per Siena, Peric per Venezia, ecc.).
Cosa manca per lo scudetto? Si, la difesa… e una Milano come l’anno scorso.
Raffaele Baldini