Ce lo chiede l’Europa
Che l’Olimpia Milano sia l’unica rappresentante italiana nella nuova Eurolega è semplicemente una naturale conseguenza dell’attuale livello della nostra pallacanestro.
I requisiti richiesti dagli uffici con sede a Barcellona, infatti, vanno al di là di un estemporaneo risultato in campionato e puntano più a garantire il posto all’interno della propria lega a quelle società in grado di garantire il raggiungimento di determinati livelli economici, di capienza per le partite e, in modo non prioritario ma comunque rilevante, di merito sportivo.
Le 11 squadre che hanno firmato il contratto decennale di partecipazione alla nuova Eurolega nel 2016 sono a rischio di perdere la propria licenza pluriennale nel caso in cui arrivino ultime, nel corso dei 10 anni, per tre volte. L’altro modo di partecipare alla seconda lega cestistica professionistica al mondo, per importanza e valore economico generato, è attraverso una delle cinque licenze annuali, che però vengono distribuite in maniera prestabilita: un posto è garantito alla vincitrice dell’Eurocup, mentre gli altri quattro tendono ad essere distribuiti ai campioni nazionali di Germania e Spagna (qualora non sia una tra Real, Barcellona e Baskonia, tutte in possesso di licenze pluriennali) e alle vincitrici di Lega Adriatica (che comprende squadre dei paesi dell’ex Jugoslavia) e VTB League, comprendente prevalentemente squadre russe (nel caso in cui il titolo sia vinto dal CSKA parteciperebbe all’Eurolega l’altra squadra finalista).
I margini di accesso per ulteriori squadre italiane sembrano essere abbastanza ridotti, sempre stando alla situazione attuale e non prendendo in considerazione ipotesi di allargamento dell’Eurolega: scenari che non passano attraverso la vittoria dell’Eurocup da parte di una rappresentante italica – come detto in precedenza, Trento ci andò molto vicina due stagioni fa – devono prendere in considerazione una possibile wild card da parte della stessa Euroleague Basketball – e in ogni caso l’invito sarebbe assegnabile a una squadra virtuosa in grado di adempiere ai requisiti citati in precedenza.
Quella Trento che arrivò a 120’ dall’Eurolega
L’Eurocup e la Champions League della FIBA devono essere, quindi, l’obiettivo principale della pallacanestro italiana per rilanciare la sua competitività a livello continentale. In queste due competizioni l’Italia avrà sempre dei posti pre-assegnati (cinque delle sette squadre impegnate in questa stagione sono entrate nella competizione direttamente alla fase a gironi, e soltanto Torino partecipa a una delle due per mezzo di una wild card) anche se il numero di queste potrà variare. Dal 2013 al 2016 quattro italiane per stagione hanno partecipato all’Eurocup, ma in nessuna di queste tre stagioni il record è andato oltre il 50% complessivo di vittorie: starà alla nostra pallacanestro saper reggere il confronto e mostrarsi all’altezza delle proprie avversarie continentali, notevolmente migliorate negli ultimi anni.
L’erba del vicino è davvero più verde?
Negli anni ‘90 la leadership europea del nostro campionato era quasi indiscussa, e la competizione avanzata da campionati come Spagna e Grecia si limitava principalmente ai principali top team espressi da quei movimenti. Soprattutto nelle coppe minori come la Korac o la Saporta, le nostre rappresentanti – non appartenenti, tranne poche eccezioni, all’élite rappresentata da squadre come Treviso o le due bolognesi – riuscivano regolarmente a dimostrarsi superiori alle controparti degli altri paesi.
Oggi la realtà è ben diversa, e paesi come Spagna, Turchia e Germania o leghe intra-nazionali come la Lega Adriatica o la VTB League sono in grado di esprimere squadre di livello mediamente superiore al nostro, e riescono con maggiore frequenza di noi a conquistare risultati prestigiosi a livello europeo al di fuori del cerchio ristretto dei rispettivi top team.
Andando però ad osservare la struttura di questi cinque campionati, si notano alcune similitudini con quanto avviene all’estero. Ad esempio, in Spagna (5.000), Germania e VTB League (3.000 per entrambe) è presente il limite della capienza minima di posti a sedere nei singoli palazzetti. La ACB, in Spagna, aggiunge a questo anche un severo limite economico composto da un deposito (pagabile in quattro stagioni) di 1,6 milioni di Euro, restituibile in caso di retrocessione, e l’obbligo di un budget minimo di almeno 2 milioni di Euro.
I due limiti presenti oggi sono l’evoluzione di un sistema che si è dovuto adattare alla crisi economica: in precedenza era previsto anche il pagamento di un deposito a fondo perduto di 3 milioni di euro (poi ridotti a 2), dichiarato illegale nello scorso mese di aprile dalla Comision Nacional de los Mercados y la Competencia, deposito che ha portato all’effettiva promozione in ACB di solo due squadre in cinque stagioni, delle dieci avente diritto (l’odierna Tenerife nel 2013 e Andorra nel 2014), quando nelle prime 29 stagioni di ACB solo due squadre (negli anni ‘80) avevano rinunciato alla promozione nella massima serie poiché impossibilitate a sottostare ai requisiti economici e organizzativi.
Andorra, nel 2014, è diventata una delle due squadre capaci di sostenere economicamente e organizzativamente il diritto sportivo acquisito sul campo: giocare in ACB.
Il sistema spagnolo potrebbe apparire come eccessivamente severo, ma la longevità di queste regole e la loro adattabilità alla situazione hanno creato un campionato la cui competitività è evidenziata anche dal livello raggiunto in Europa dalle sue rappresentanti, e la garanzia che “gioca chi se lo può permettere” elimina quasi del tutto la possibilità di casi come quelli del Millennium Bug del basket italiano.
Un campionato in crescita come quello tedesco è tale grazie ad una gestione organizzativa lungimirante e chiaramente definita: la Basketball Bundesliga GmbH, l’entità che organizza il massimo campionato tedesco, fu fondata nel 1996 ed è gestita al 74% dai singoli club e al 26% dalla DBB, la federazione tedesca. La separazione societaria in quote permette che la divisione sia chiara e la sfera d’influenza sia limitata, e tende ad evitare casi come quello visto due stagioni fa in Italia, con la revoca da parte della FIP della convenzione che permette alla LegaBasket (organismo non considerabile di certo autonomo come quello tedesco o quello spagnolo) di organizzare il campionato di Serie A.
Già nel 2014 la Bundesliga era affascinante a livello d’immagine, immaginarsi ora con la competitività, in Europa, di squadre come Bamberg, Alba Berlino e Bayern Monaco.
Un altro fenomeno che si è visto nell’organizzazione dei campionati europei è quello dell’unione di squadre di paesi vicini nell’organizzare una lega comune. Esempi sono la Lega Adriatica, campionato cui ormai partecipano esclusivamente paesi balcanici dopo una fase iniziale in cui si erano viste apparizioni di squadre di altri paesi, e la VTB League, formata principalmente da squadre russe e andata a sostituire per importanza la Lega Baltica, svuotata d’interesse dopo il recente rafforzamento del campionato lituano.
Questi esempi, però, non possono essere d’ispirazione per un ipotetico rilancio della pallacanestro nostrana: sono leghe che nascono, indirettamente, dall’unione di paesi che fino a non troppo tempo fa erano racchiusi sotto un’unica egida, formate da squadre storicamente “abituate” a giocare un campionato tra di loro. Lega Adriatica e Lega Baltica, inoltre, non si sostituiscono ai campionati nazionali dei paesi dell’ex Jugoslavia o della parte baltica dell’ex Unione Sovietica, ma ne rappresentano un’aggiunta, facendo sì che le squadre che disputano il proprio campionato nazionale e la determinata lega giochino più partite nel corso di una stagione.
È certamente indubbio che per una squadra come la Stella Rossa poter abbinare agli impegni del proprio campionato contro squadre non di prim’ordine le sfide contro blasonate rivali come Olimpia Lubiana o Cibona Zagabria, per fare due esempi, ne migliori le prestazioni attraverso le maggiori possibilità di confronto interregionale, ma è altrettanto palese come il vero miglioramento, per la Stella Rossa, avvenga grazie alla possibilità di disputare le coppe europee e spostare la base del confronto tecnico dall’area regionale all’area continentale.
Dove può andare il basket italiano
Quando la situazione è così compromessa, non esiste una ricetta unica, univoca e universale.
Il basket italiano che era grande ai tempi della prima globalizzazione della pallacanestro non era tale solo per blasone, ma anche per capacità organizzative lungimiranti: le migliori squadre del nostro paese attraevano i migliori talenti continentali, sia in campo che in panchina, e riuscivano a farlo per contratti anche pluriennali e garantiti, che non si basavano sull’improvvisazione o sull’io speriamo che me la cavo.
Sicuramente per potere attirare in Italia il meglio del basket continentale ci devono essere risorse economiche certe, e probabilmente l’adozione di un sistema duro come quello spagnolo porterebbe, sul medio-lungo periodo, benefici tangibili. La situazione del basket italiano, però, legittima a pensare che il replicare pedissequamente sistemi restrittivi possa generare situazioni ben peggiori di quelle del Bug.
La ripartenza della nostra pallacanestro dovrebbe quindi partire da una serie di piccole cose. Fondamentale deve essere l’appeal e la riconoscibilità a livello internazionale: pensare che i posti nelle coppe europee ci siano dovuti perché ci chiamiamo Italia è un peccato di hybris. Nella seconda metà dello scorso decennio, incuranti del calo tecnico del movimento cestistico italiano, non abbiamo accolto ricettivamente le progressive direttive dell’Eurolega, e come risultato di ciò le nostre squadre sono diminuite progressivamente, con la sola Milano oggi a rappresentarci e la speranza di una possibile futura wild card per aumentare il contingente italiano nella seconda lega cestistica al mondo.
Occasioni però ne abbiamo avute negli ultimi anni: la stessa Eurolega ha accolto a braccia aperte il progetto vincente, sul territorio nazionale, di Sassari, che ha disputato però due deludenti stagioni in Eurolega tra il 2014 e il 2016 (una sola vittoria, al primo anno contro lo Zalgiris, e ben 19 sconfitte); Euroleague Basketball aveva coinvolto tre nostre squadre – la stessa Sassari, oltre a Reggio Emilia e Trento – nel progetto, poi modificato, dell’Eurocup con licenze triennali, con le tre poi costrette a rescindere unilateralmente dai contratti sotto pressione della FIP e di CONI e FIBA.
L’allinearsi della Federazione Italiana Pallacanestro alla FIBA nel contenzioso tra la stessa organizzazione con sede in Svizzera e l’Euroleague ha fatto perdere un anno importante di confronto a livello continentale a due delle realtà più virtuose della nostra pallacanestro, Trento e Reggio Emilia (Sassari fu poi ripescata nella debuttante Champions League della FIBA, di cui ha scelto di continuare a far parte anche in questa stagione) – e nelle situazioni in cui versa il movimento nazionale, perdere l’anno è certamente qualcosa di evitabile esattamente come a scuola.
La soluzione adottata nella scorsa primavera da FIP e Legabasket, una sorta di liberi tutti che consente, alle squadre aventi diritto – tendenzialmente le qualificate ai playoff, visti i quattro (di cui uno via preliminari) posti a disposizione in Champions League e i due posti liberati dall’ECA per l’Italia in Eurocup – di scegliere la competizione europea che preferiscono disputare, seguendo l’ordine d’arrivo in classifica.
L’interesse poi manifestato dalla stessa ECA verso due realtà importanti anche per il loro bacino d’utenza come Torino – invitata a disputare l’Eurocup con una wild card, finora onorata al meglio – e la rediviva Virtus Bologna è il segnale di una apertura che viene concessa sulla base di un merito non solo sportivo, secondo la direzione intrapresa, in generale, dall’organizzazione del basket europeo negli ultimi anni.
Il confronto continuo con il resto del continente è fondamentale soprattutto per quella parte spesso paradossalmente trascurata all’interno della nostra pallacanestro, come dimostrato anche nel corso della presentazione di Serie A citata in origine all’articolo.
Storicamente i giocatori italiani non hanno mai popolato in grande quantità le leghe di paesi stranieri, e negli ultimi decenni questa possibilità è resa più difficile dai limiti protezionistici che obbligano il tesseramento a referto di un elevato minimo di giocatori italiani di formazione. Sono tante le correnti di pensiero che sostengono come questi limiti abbiano finito per appagare gli stessi giocatori italiani, che di fronte alla prospettiva del posto garantito si stabilizzano su un livello tecnico stazionario sin dal debutto in prima squadra.
I risultati delle nazionali giovanili mostrano come l’Italia continui ad essere, nonostante tutto, tra le prime nazioni d’Europa in quasi tutte le annate, con una regolarità di risultati che potrebbe indurre all’ottimismo: il fatto che però i tre giocatori italiani maggiormente migliorati, dal punto di vista tecnico e tattico, negli ultimi anni siano Nicolò Melli, Gigi Datome e Daniel Hackett, i tre emigranti alla volta di altre squadre di Eurolega, rinforza le argomentazioni di chi vede nell’eccessivo protezionismo, a livello di tesseramenti, dei giocatori italiani uno dei limiti più grandi al miglioramento del basket italiano.
Forse non torneremo mai più grandi come nei favolosi anni ‘90. Forse anche solo un quarto di finale a livello di Eurolega – come quello del 2014 di Milano – sarà sempre più un’eccezione e non un’abitudine. Ma di certo il movimento del basket italiano è destinato solo a peggiorare se dovesse continuare a crogiolarsi nei ricordi di un glorioso e blasonato passato, circoscrivendo il presente a stantie lotte di potere. Un prodotto che vuole essere appetibile, quando celebra la sua ripartenza, presentando la sua nuova stagione, deve scegliere a chi dare più spazio, fosse anche solo di facciata. L’esempio di NBA, Eurolega e della stessa ACB è lampante e non è un caso se pensa a porre sul piedistallo come importanza, fosse anche solo di facciata, prima di tutto i giocatori: il volto effettivo, scendendo in campo ogni weekend sui parquet di tutta Italia, di uno sport bellissimo deve essere de-burocraticizzato e rilanciato sulla base della valorizzazione del prodotto stesso e di quegli esempi virtuosi che contribuiscono a renderlo ancora appetibile al mondo esterno.
Ennio Terrasi Borghesan
Link: http://www.ultimouomo.com/paziente-zero-basket-italiano-europa/2/