Viaggio nel tempo per scoprire cosa succedeva alla nostra pallacanestro, in termini di risultati internazionali, durante i periodi di dominio delle grandi potenze. Per scoprire un’anomalia (Siena) e una costante: l’Olimpia al vertice, in Italia e in Europa, è sempre stata la locomotiva del movimento.
QUANDO parliamo di movimento, in accezione sportiva, ci riferiamo principalmente alla salute di un determinato sport in relazione a una serie di fattori che coinvolgono aspetti anche molto diversi tra loro: risultati delle principali squadre, attenzioni da parte dei media e del pubblico, produzione e sviluppo di giocatori e dirigenti locali.
Ma con movimento si può anche fare riferimento all’accezione biologica e meccanica del termine, cioè a un mutamento della posizione di un organismo o di una sua parte rispetto all’ambiente. Se sostituite la parola “organismo” con “federazione sportiva”, e “una sua parte” con “società sportive” e per “ambiente” immaginate un parquet lungo 28 metri e una palla a spicchi, avrete in linea di massima il quadro preciso al quale vogliamo riferirci. Nello specifico, il movimento del basket italiano vive un momento chiave della sua storia perché a una variabile comune che si ripete nel tempo, ovvero il dominio di una o più squadre nel campionato italiano, non corrispondono altrettanti risultati in campo internazionale rispetto al passato.
La nostra pallacanestro viene dalla più longeva dittatura della sua storia: nessuno aveva mai vinto sette campionati consecutivi come Siena (ne aveva vinti nove in undici anni Milano tra il 1950 e il 1960), e se facciamo iniziare l’epoca moderna del basket con l’introduzione delle coppe europee (quindi il 1958, anno della prima Coppa dei Campioni), troviamo che nessuno è mai riuscito a vincere più di tre scudetti consecutivi. Ora facciamo un salto indietro per scoprire, decennio per decennio, cosa è successo in periodi di particolare egemonia domestica anche in ambito internazionale, proprio per capire il valore dell’intero movimento su un piano più ampio e l’influenza che su di esso hanno avuto le squadre dominanti.
ANNI SESSANTA – Per gran parte del decennio, il basket in Italia è una sfida a due tra le corazzate Milano e Varese. L’Olimpia vince cinque scudetti in sei anni (’62, ’63 e poi tre consecutivi dal ’65 al ’67) e lo fa battendo sempre sul filo l’Ignis, che invece vince nel ’61, ’64 e poi cinque scudetti in sei stagioni tra il ’69 e il ’74. In questo decennio l’egemonia è interrotta soltanto da Cantù, che vince lo scudetto del 1968 (seconda è Napoli). A livello europeo, l’Italia porta a casa la Coppa dei Campioni del 1966 con Milano (che perde la finale nel 1967), la Coppa delle Coppe del 1967 e la Coppa Intercontinentale del 1966 con Varese (che perde la finale del 1967 dopo aver vinto in semifinale il derby con Milano). E’ il periodo del boom economico del paese e di quello del basket, nel quale vengono gettate le basi per lo sviluppo del decennio successivo.
ANNI SETTANTA – E’ il periodo d’oro della Pallacanestro Varese, che vince il campionato nel ’70, ’71, ’73, ’74, ’77 e ’78, ed è anche tre volte seconda. Un’epoca nella quale il movimento, spinto inizialmente dal duopolio Milano-Varese, si arricchisce di due nuove protagoniste: la vicina Cantù, che vince lo scudetto del 1975, e la Virtus Bologna, che vince nel 1976, 1979 e 1980. A livello internazionale, l’Italia colleziona trofei: Varese vince ben cinque Coppe dei Campioni tra il ’70 e il ’76) e altre quattro volte viene fermata in finale. Anche la Coppa delle Coppe è spesso roba nostra: tra il ’70 e l’80 finisce fuori dai nostri confini solo tre volte, mentre la sollevano tre volte Milano e Cantù ed una Napoli. Nel frattempo, nel 1972, nasce anche la Coppa Korac, che finisce tre volte consecutive a Cantù. Il nostro movimento in questo decennio colleziona anche tre Coppe Intercontinentali: due le vince Varese (1970 e 1973), una Cantù (1975).
ANNI OTTANTA – C’è sempre molta Milano in questo decennio (cinque scudetti e tre finali), ma mentre la potenza di Varese scema progressivamente, altre protagoniste vengono alla ribalta: si impone Roma nel 1983, Pesaro vince due campionati nel
1988 e 1990, anche Caserta si affaccia due volte alla finale scudetto (1986 e 1987) mentre Livorno va a mezzo secondo dal vincerlo nel 1989.
Il movimento si espande e i risultati eccezionali nelle coppe europee continuano: Cantù è capace di vincere due Coppe dei Campioni consecutive (’82 e ’83), Roma si porta a casa quella del 1984 e Milano le edizioni del ’87 e ’88, mentre Bologna si arrende in finale nell’81. La Coppa delle Coppe finisce a Varese (finale tutta italiana nel 1980), Cantù (1981) e Pesaro (1983, ma la Scavolini perderà anche due finali), mentre anche Caserta raggiunge la finale, quella leggendaria del 1989 persa col Real Madrid. La Coppa Korac in questo decennio finisce due volte nel Lazio: nel 1980 a Rieti, nel 1986 a Roma (in finale contro Caserta). Un’altra finale tutta italiana è il Milano- Varese dell’85, vinto dall’Olimpia. La Coppa Intercontinentale è di Cantù nel 1982, di Roma nel 1983 e di Milano nel 1987. E’ il momento di massima espansione del nostro basket.
ANNI NOVANTA – La stella di Milano si eclissa (un solo scudetto, l’ultimo, targato 1996) e la bussola del nostro basket vira verso Bologna e Treviso. Basket City si porta a casa quattro scudetti con la Virtus (tre consecutivi tra il ’93 e il ’95 più quello del ’98) e porta in finale la Fortitudo per tre volte consecutive. C’è anche la crescita esponenziale di Treviso (scudetti nel ’92 e ’97, finale nel ’95), con gli storici trionfi di Caserta (’91) e Varese (’99), il primo di sempre al sud e quello della stella per i varesini. Senza più Milano a trainare il movimento, iniziano a sentirsi le prime fatiche anche in un basket continentale che diventa più competitivo, sul piano tecnico ed economico. Nel decennio arriva una sola Eurolega, quella del ’98 della Virtus Bologna (in finale anche l’anno successivo). La Coppa delle Coppe, che nel frattempo è diventata prima Eurocup e poi Coppa Saporta, è vinta due volte da Treviso, nel ’95 e ’99. La Coppa Korac finisce a Cantù (’91), Roma (’92, in finale su Pesaro), Milano (’93, in finale su Roma) e alla novità Verona (’98), con Trieste che perde la finale del 1994 e Milano quelle del ’95 e ’96. La Coppa Intercontinentale si disputa solo nel 1996. Il nostro basket perde competitività ai massimi livelli ma continua a essere convincente, seppure in progressiva dissolvenza, nelle altre coppe.
DUEMILA – Scomparsa Milano dal basket che conta, il nostro movimento si regge inizialmente sul triangolo Virtus-Fortitudo-Treviso: primo scudetto della F bolognese nel 2000 bissato nel 2005, trionfo Virtus nel 2001 e due consecutivi della Benetton nel 2002 e 2003, poi un altro nel 2006. Il tutto prima dell’avvento di Siena e della sua dittatura, primo titolo nel 2004 e poi i sette consecutivi tra 2007 e 2013. La Virtus vince l’Eurolega Uleb nell’anno della diaspora con la Fiba, il 2001, ed è l’ultimo trionfo italiano: giocherà e perderà in casa la finale del 2002, poi ci saranno Treviso e Fortitudo in finale nel 2003 e 2004, ma sono due sconfitte, e sono anche le ultime due partecipazioni nostrane all’ultimo atto della coppa più prestigiosa. Siena riesce a fare propria l’ultima edizione della Coppa Saporta nel 2002, la Korac diventa prima Uleb Cup e poi Eurocup ma non ci sono squadre italiane nell’albo d’oro. E’ proprio la Montepaschi l’ultima italiana a partecipare a una Final Four, nel 2008 e nel 2011, con due sconfitte in semifinale. E’ un periodo nel quale si sviluppa l’anomalia di cui parlavamo inizialmente: mentre in passato una dinastia creava sempre una scintilla per la nascita di nuove potenze, il dominio di Siena si è avvolto su sé stesso e non ha generato un ricambio. Ne soffre il movimento sul piano dell’interesse domestico e sul piano della competitività continentale.
CONCLUSIONI – Mentre è evidente, e fisiologico, che ogni epoca sia stata contraddistinta da due o tre squadre dominanti, e quindi trainanti per il movimento, è anomalo ciò che è successo negli ultimi due lustri, quando la potenza di Siena non ha rappresentato una spinta sufficiente a rendere competitivo il nostro basket, né a casa nostra nè in Europa. E’ chiaro che la nostra pallacanestro risente della crisi e paga, come gli altri sport, un gap evidente sul piano economico e organizzativo rispetto alle realtà più competitive di Spagna, Russia e Grecia, oltre al dissesto che ha sistematicamente colpito tutte le società che avevano dominato il nostro basket. Ma salta anche agli occhi, e forse non è un caso, che il declino sia iniziato progressivamente negli anni Novanta ed è poi maturato nel nuovo millennio con la contemporanea scomparsa di Milano dalla carta delle grandi potenze. E allora non è detto che un’Olimpia di nuovo vincente in Italia e competitiva in Europa possa ancora una volta essere la locomotiva che trascina il movimento fuori dalla crisi. Questo è ciò che insegna la storia.
Marco Bonfiglio
L’articolo che hai letto è tratto dal mensile Superbasket # 0 del Maggio 2014