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      Home RUBRICHE House of Basketball

      Il basket si è fermato a… Lucca! di Alberto Cecere

      Alberto Cecere by Alberto Cecere
      28 Novembre 2017
      in House of Basketball, RUBRICHE
      0
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      Lucca, aprile 2016. Entro con coach Dan Peterson ed altri amici in un locale dove sono conservati i cimeli del Museo del Basket di Lucca e, in prima persona, comprendo cosa sia la sindrome di Stendhal. Resto quasi paralizzato di fronte alla quantità di cimeli di basket che vedo, salvati solo dalla grande passione di alcuni straordinari amici toscani della pallacanestro. Ma torniamo indietro nel tempo e ripercorriamo la storia della pallacanestro a Lucca e dintorni. E in particolare parliamo di un personaggio che come nessun altro ha tentato di ricostruire, ma anche di ammodernare e aggiornare costantemente, la storia di questa disciplina che tanto amava: Giorgio Chimenti. Che nasce a Livorno nel 1919 da famiglia di origine lucchese. Già all’epoca nella città di Puccini, grazie alla passione e lungimiranza di personaggi come l’avvocato Montauti, vengono promosse iniziative sportive e la società Ginnastica Lucchese è tra le più attive. Quella della “Riunione polisportiva nazionale – convegno ginnastico generale” è indubbiamente una delle prime esibizioni del gioco della pallacanestro a livello nazionale e, per la sua stessa formula, può essere considerato un primo torneo in assoluto a livello nazionale. Un “Criterium di Basketball” al quale parteciparono 14 rappresentative provenienti da tutta Italia.

      A partire dagli anni ’50 si costituiscono le società sportive che costituiranno lo scheletro della pallacanestro a livello maschile e femminile a Lucca. Una delle prime formazioni maschili nasce all’ombra del campanile della Chiesa di S.Anna, dove alcuni appassionati costituiscono la formazione della Vigor S. Anna. I giornali dell’epoca riportano di accese partite sui campi, rigorosamente all’aperto, come quello dietro lo storico caffè delle Mura, o nel chiostro della cattedrale di S. Martino, dove più tardi cominciarono a svolgersi tornei come lo storico Trofeo Lovari, al quale hanno partecipato tutte le più grandi squadre dell’epoca e che dal 2015 ha ripreso a vivere grazie alla passione dei soci dell’Associazione Onlus Luca Del Bono “Amici della pallacanestro” di Lucca. In estate prolificavano, fuori e dentro le mura di Lucca, tornei tra i bar con giocatori di tutte le categorie, e con giocatori dilettanti (militari) statunitensi per la vicinanza di Camp Derby di Tombolo (Livorno).
      Parallelamente si organizzavano anche tornei studenteschi sia maschili che femminili. Ed è qui che entra in gioco Giorgio Chimenti, che documenta tutti gli avvenimenti a partire dal 1946, scatta innumerevoli foto (anche allo schermo televisivo quando non poteva essere presente), e raccoglie cimeli, anche sottraendoli bonariamente a coloro ai quali erano destinati. Il personaggio si insedia in quasi tutti gli eventi cestistici locali, nazionali e internazionali: grandissimo appassionato, prima giocatore, poi arbitro, poi fotografo, in poco tempo diventa un elemento cardine della documentazione fotografica del basket. E con la sua affabilità, simpatia, estroversione ed un buon grado di ispirazione naif, riesce a coinvolgere grandissimi personaggi del basket del suo tempo. Nello stesso tempo inizia a creare quello che per lui sarà la passione della vita: il Museo del Basket.

      In Piedi da...

       

      Da sinistra: Vincenzo Buchignani, Armando Cortinovis (ex giocatore Virtus Lucca), Patrizia Pecchia (presidente associazione Onlus Luca del Bono “Amici della pallacanestro” di Lucca), Valter Cotalini (socio Onlus), il direttore di Superbasket Dan Peterson, Giovanni Ricci (socio Onlus) e Renato Malfatti (socio Onlus)

      Cimenti comincia a giocare a pallacanestro a 17 anni, nella stagione 1936-37, e in sei anni disputò ben 521 incontri. La sua prima squadra fu quella del Rione Sorgenti di Livorno dove abitava, la “Bleguimet”, che partecipava a un campionato dopolavoristico nell’ambito delle attività sportive indette e gestite dall’Opera Nazionale Dopolavoro del Partito Fascista. Durante il servizio militare fu rimpatriato dal fronte jugoslavo causa malattia e si diede poi alla macchia, entrando a far parte del gruppo partigiano “Pippo Ducceschi”. Causa i pesanti bombardamenti anglo-americani cui furono sottoposti il porto labronico e le sue vicine infrastrutture, sfollò insieme alla famiglia da Livorno ad Altopascio, dove fondò l’Unione Sportiva Altopascio. Trasferitosi poi a Spianate di Altopascio, continuò la sua attività commerciale di friggitore e rivenditore di generi alimentari, preparati e cotti da lui. Chimenti affiancò ben presto alla sua attività di allenatore quella di arbitro, dal 1948-49 fino alla stagione 1962-63, quando venne passato nei ruoli degli arbitri benemeriti. Diventò poi commissario di campo, commissario speciale della FIP e, nel 1968, fiduciario degli arbitri della Toscana. Nella sua carriera arbitrale, anche in questo caso secondo il suo accurato conteggio, ha diretto oltre 1500 partite, di cui 66 in Serie A e 22 in Serie B. Fu insignito della tessera verde numero 60 della FIBA, quale arbitro internazionale ad honorem. Chimenti fu anche: socio della Federazione Nazionale Azzurri d’Italia, socio dell’Unione Nazionale Veterani dello Sport, stella di bronzo al merito sportivo del CONI, commendatore al merito della Repubblica Italiana per meriti sportivi. Nel 1958-59, all’interno della Libertas Altopascio, fondò il Centro Giovanile di basket (maschile e femminile) e cominciò poi nel 1963 una intensa attività con i giovanissimi, proseguita fino al 1972: Chimenti sosteneva di essere stato lui ad inventare il minibasket, nei primi anni sessanta.

      Il primo allestimento di immagini, inserite in quadretti muniti di vetro con cornici fatte da lui con il nastro adesivo, lo realizzò sulle pareti del suo forno-friggitoria. Ampliò poi a dismisura la sua raccolta, allargandola a tutto il mondo del basket regionale, nazionale e internazionale, alla storia del basket mondiale, ad ogni oggetto, medaglia, coppa, maglia, gagliardetto, pallone, libro o rivista che potesse illustrare, secondo il suo personalissimo gusto espositivo, la pallacanestro ed i suoi protagonisti. La massima sua raccolta, comunque, fu quella fotografica, arrivata ad annoverare al momento della sua morte – avvenuta nel 1983 – oltre 25.000 immagini. Una passione ed una simpatia che coinvolgeva tutti quelli che avvicinava: giocatori (storiche le sue foto con Bill Bradley e Meadowlark Lemon), allenatori, arbitri (grande amico di Bruno Duranti, che lo chiamava bonariamente “Neccio”), dirigenti di club e federazioni (storiche le donazioni di Renato William Jones, uno dei fondatori della FIBA). Con il suo modo di porsi ha ottenuto donazioni di foto, materiali ed altro in punta di piedi, senza pretese, ma con la fermezza di chi sa che sta costruendo un archivio documentale della storia del basket unico in Italia, e forse anche in Europa. I suoi allenamenti nel campo dietro la chiesa di Spianate erano preceduti da spuntini a base di pane di Altopascio, salame del suo norcino e Vino del Basket, e spesso finivano a cantucci e vin santo. Avete letto bene: “Vino del Basket”. Imbottigliava ed etichettava infatti come tale il vino che produceva. Ideò e fece stampare numerose etichette che lo ritraevano con alcuni personaggi famosi che avevano visitato il suo Museo. Memorabile la scena in cui, durante una semifinale del Trofeo Lovari nel chiostro di San Martino a Lucca, Dado Lombardi (Candy Bologna) e Doug Moe (Petrarca Padova) se le danno di santa ragione sotto canestro e, cadendo, schiacciano Giorgio Chimenti, che era appostato con il suo sgabello e la sua macchina fotografica sotto lo stesso canestro: groviglio di corpi ultra-quintale e sgabello che inevitabilmente si disintegra sotto tale peso, con Chimenti che apostrofa in malo modo, da buon livornese, i due giocatori: «Deh, bui neri, m’avete rotto lo sgabello! Ora, o mi date le maglie, o ve lo faccio ripagà!». Ed è così che riuscì ad avere, con gli sfottò tipici di Lombardi, le loro maglie a fine torneo.

      Il Cav. Uff. Giorgio Chimenti, finché le sue forze fisiche glielo hanno consentito, ha dedicato la sua vita e le sue risorse ad uno sport sano con il solo scopo di promuoverlo e condividerlo, specialmente con i giovani, allestendo nella sua stessa abitazione lo spettacolare “Museo del Basket”. Visitato da personaggi come Bill Bradley e William Jones. Dopo la sua morte, la signora Chimenti ha donato tutto a Vincenzo Buchignani (marito della grande playmaker e “Hall of Fame” Lidia Gorlin) e Gianluca Mascagni, che hanno tentato di recuperare quello che era rimasto, dopo spostamenti vari tra Altopascio e Montecatini, dei cimeli e delle foto, relegate in un ambiente umido di un magazzino scolastico. Da qui, tra un passaggio di scatoloni e l’altro e tra un peregrinare di depositi e l’altro, i reperti arrivarono ad una sede che consentiva almeno di preservare le foto dall’umidità. Qui, grazie ad un parziale finanziamento dell’assessorato allo sport del Comune di Lucca ed alla concessone di alcuni locali della scuola media di San Vito, iniziò con la collaborazione della sezione storica degli Assi Giglio Rosso di Firenze, un primo riordino di tutto il materiale (che purtroppo in parte si è deteriorato). Iniziò anche una catalogazione informatica del materiale museale. Il sogno durò poco, per la morte dello storico che si occupava della catalogazione, per mancanza di ulteriori finanziamenti da parte delle varie amministrazioni comunali, e per il successivo sfratto dai locali della scuola media da parte del Comune di Lucca.

      Certo è che se oggi si può vantare il Museo del Basket come parte integrante della storia della città di Lucca, è per la grande passione di chi ha continuato fortemente a crederci e a battersi, senza un adeguato sostegno delle istituzioni, per la conservazione e la rivitalizzazione dei cimeli. Che, se alla data odierna non sono totalmente deteriorati, è grazie all’impegno solidale di persone come Gianluca Mascagni e Vincenzo Buchignani, e dal 2015, della Onlus Luca Del Bono “Amici della Pallacanestro”. Nonché alla sensibilità di persone come Cristiana Cardella e Pietro Lucchesi, che si sono offerti di ospitare in loro sedi i reperti museali.

      P.S. Caro Giorgio, per tutto quello che hai fatto per la pallacanestro, per l’amore e la passione che ci hai messo, meriti come minimo di entrare dalla porta principale nella “Italia Basket Hall of Fame”. Da queste pagine voglio lanciare l’appello: la pallacanestro sarà sempre in debito con te. Grazie, ovunque tu sia.

      Alberto Cecere

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