Che quello del 2018 fosse un draft particolarmente ricco si sapeva da tempo, e questa vigilia desta particolare interesse tra gli addetti ai lavori, ancora divisi sul nome di chi, per primo, verrà chiamato dal commissioner Adam Silver sul palco del Barclays Center di Brooklyn.
Un altro dato però emerge dall’analisi dei giocatori che verranno scelti per primi: il ritorno dei big men. Hakeem Olajuwon, Pat Ewing, David Robinson, Shaquille O’Neal: tra gli anni ’80 e ’90 si è assistito in molti casi alla ‘first pick’ di centri dominanti; talvolta poi anche di giocatori mediocri quali Michael Olowokandi, o semplicemente non eccelsi come Elton Brand.
Nelle edizioni più recenti però, di pari passo con l’evoluzione del gioco – sempre più perimetrale e sempre meno centrato sulla figura del lungo d’area – le squadre hanno disdegnato i centri uscenti dal college a favore di ali e guardie, spesso più “NBA ready” e, soprattutto, più adatte alle esigenze attuali. Solo Towns ed Embiid, oltre al fallimentare Okafor, hanno destato interesse alle primissime posizioni degli ultimi draft, e quest’anno per la prima volta tornano ad esserci almeno due ‘5’ tra le chiamate pregiate: DeAndre Ayton e Mohamed Bamba.
Lasciando da parte l’analisi tecnica dei prodotti di Arizona e Texas, su cui ci sarà modo di approfondire in futuro, ciò che bisogna chiedersi è: vale ancora la pena investire su un centro come giocatore franchigia?
A detta di chi scrive la risposta è sì, ma ad una condizione: non può tollerarsi un giocatore esclusivamente d’area. O meglio, si può nel caso di un lungo di complemento, al quale non si chiede di trainare i compagni e al quale, soprattutto, non si sottoporrà la firma di un contratto a cifre roboanti; viceversa non per i top players.
In tal senso un buon paragone è proprio Joel Embiid: uscito dal college come centro efficace quasi esclusivamente nei pressi del ferro, dopo il lungo infortunio che l’ha costretto a stare fuori dai giochi per oltre un anno ma gli ha permesso di allenarsi singolarmente, è apparso subito chiaro quale direzione avessero preso i suoi progressi: diventare un giocatore capace di tirare dalla distanza e di attaccare anche frontalmente il ferro. Non è una scelta di stile, ma la condizione necessaria per essere pericolosi nel 2018, dove il tiro perimetrale viene usato molto più di prima e gli appoggi in post basso sono ridotti al minimo. Anthony Davis, Karl-Anthony Towns, Joel Embiid: tutte le giovani stelle sono ormai una versione evoluta degli Shaq e degli Hakeem, magari meno potenti e dominanti di questi ultimi ma sicuramente più efficaci nel basket odierno, anche in difesa dove è necessario avere la mobilità per seguire gli avversari in giro per il campo. Basti pensare alla fatica patita dallo stesso Embiid nel rincorrere Al Horford – prototipo del centro odierno – nel corso della serie playoffs contro Boston, dove il dominicano ha costretto l’avversario ad uscire dalla sua comfort zone difensiva battendolo poi spesso sul primo passo.
Tornando a quest’anno, perciò, non sorprende vedere che Ayton e Bamba siano considerati al vertice del draft 2018: oltre alle impressionanti qualità fisiche (Ayton 2.16 con “apertura alare” di 229 cm, Bamba 2.16 con apertura di braccia di 239 cm!), entrambi dimostrano già di non disdegnare il tiro dalla distanza, mentre dovranno ancora lavorare parecchio sull’attacco fronte a canestro in uno contro uno, abituati al college a sfruttare il dominio in termini di centimetri e, dunque, ad utilizzare il post basso come soluzione offensiva principale. Intendiamoci: non dovranno snaturare il loro gioco, e sicuramente i centimetri a disposizione gli permetteranno di poter tirare sulla testa di molti avversari nonché di concludere in alley-oop qualora imparassero a rollare bene dopo un blocco sul portatore; tuttavia la difesa delle squadre della lega sarà particolarmente attenta nel limitare le comodità ai nuovi entrati, spingendoli a muoversi lontani dal ferro.
Un “all in” su di loro resta una scommessa perché la storia recente non depone a favore di chi ha puntato tutto sui lunghi; nel loro caso però le premesse per svilupparsi al meglio come centri moderni ci sono tutte, e starà allo staff a cui verranno affidati trasformare una buona scelta in una stella NBA.
Tornerà l’epoca dei “big men”?