Se ad un appassionato di rock menzionate “The Day the Music Died” vi parlerà dell’incidente aereo accaduto poco fuori Mason City il 3 febbraio 1959, e di come nello schianto del Beechcraft Bonanza in un campo di granturco assieme ai sogni di una generazione si fossero spezzate le vite di Buddy Holly, J.P. Richardson, Ritchie Valens. Nemmeno un anno dopo in un altro campo di granturco dell’Iowa rischiò di morire una squadra di basket e con essa uno dei miti del basket moderno. Erano i Lakers che a quel tempo avevano sede a Minneapolis, ed è per questo che si chiamavano così, in omaggio al Minnesota che è la “Terra dei Mille Laghi”. Di lì a qualche mese il proprietario Bob Short li avrebbe fatti trasferire a Los Angeles, ma quella sera volevano rientrare a Minneapolis dopo aver subìto una sonora lezione nella trasferta di St.Louis, e per farlo stavano salendo la scaletta dell’aereo parcheggiato all’aeroporto Lambert Field.
Il DC-3 era la versione commerciale del “C-47”, aereo militare da trasporto, ed era diventato il “cavallo da tiro” dell’industria statunitense nel “boom” del dopoguerra. Estremamente affidabile, nella versione da trasporto civile poteva imbarcare 21 passeggeri sulla costa atlantica e sbarcarli su quella pacifica con tre scali per rifornimento. Era il primo aeroplano a garantire un profitto alle compagnie aeree: quello usato dai Lakers apparteneva a Bob Short ed ai comandi c’erano due veterani di guerra, Vern Ullman e Harry Gifford.
I Lakers non attraversavano un periodo felice e mentre salivano la scaletta non c’era molta voglia di scherzare. I St. Louis Hawks non avevano fatto troppa fatica, la sera prima, e solo una magistrale prestazione da 43 punti di Elgin Baylor aveva evitato che lo scarto finale assumesse dimensioni esagerate.
La situazione era desolante: avevano inanellato la trentesima sconfitta in 43 partite ed ora persino il barometro sembrava voltar loro le spalle. I piloti completarono la check list e spinsero l’aeroplano all’inizio della pista, mentre atleti e coaching staff si allacciavano le cinture e piccoli, fitti fiocchi di neve sfarfallavano nell’inverno del Kentucky.
Il DC-3 si alzò nel cielo plumbeo e gli atleti prepararono il tavolino per la prima mano di poker: la partita però durò solo cinque minuti, perché improvvisamente le luci si spensero. Un guasto ai generatori di corrente aveva lasciato la fusoliera al buio ma il problema peggiore era che anche la cabina di pilotaggio, gli strumenti di bordo e la radio erano privi di alimentazione. Tornare a Lambert Field era fuori discussione: senza strumenti e senza possibilità di comunicare con la torre di controllo nella tormenta il rischio di un incidente aereo nel denso traffico in entrata ed uscita da St. Louis era elevatissimo e quindi Gifford e Ullman decisero di mantenere la rotta verso nord.
Il pericolo era serio e Jim Krebs, il centro dei Lakers, lo aveva previsto: consultando gli spiriti con la sua nuova tavola “ouija” qualche giorno prima si era sentito “rispondere” che l’aereo sarebbe precipitato. I passeggeri però non si lasciarono andare al panico, anche se il silenzio rotto solo dal rombo dei motori rivelava la preoccupazione. Il DC-3 salì oltre i 1,200 metri di altitudine nel tentativo di lasciare la tormenta sotto le ali finchè il freddo intenso cominciò a mordere, mentre i piloti usavano bussola e orologio per calcolare la posizione. Quando anche la bussola cominciò a dare problemi, Ullman e Gifford tentarono di orientarsi con la Stella Polare, ma per tenerla d’occhio erano costretti a frequenti virate che consumavano carburante prezioso e spingevano il velivolo fuori rotta.
L’allenatore “Slick” Leonard consolava il “rookie” Tom Hawkins nei posti di coda, mentre la stella Elgin Baylor studiava la posizione di impatto stendendosi a terra e cingendo il sedile di fronte con le gambe.
L’aereo si abbassò. Il carburante cominciava a scarseggiare: la mezzanotte era passata ed il ghiaccio che si era formato sul parabrezza costringeva i piloti a indossare gli occhialoni e ficcare la testa fuori da un finestrino. Quando un motore cominciò a tossicchiare, Gifford e Ullman constatarono che con meno di 30 minuti di autonomia era ormai il momento di cercare un posto dove atterrare.
Gli abitanti del piccolo paesino di Carroll, Iowa, sentivano i motori del DC rombare nel cielo carico di neve, ma non vedevano l’aereo. I poliziotti della stazione locale chiamarono al telefono i residenti esortandoli ad accendere tutte le luci di casa e della veranda, in modo da aiutare l’equipaggio nella ricerca dell’aeroporto… ma quelli non avevano la minima idea di dove si trovavano. Il DC picchiò alla ricerca di un campo e poi immediatamente cabrò quando la sagoma nera di una strada ed i pali elettrici a fianco si pararono di fronte a loro. Alla fine Ullman nel buio scorse la sagoma familiare di un campo di granturco e decise di allinearsi per l’atterraggio di fortuna: il DC 3 abbassò i “flaps” e fece scendere il carrello.
Frank Selvy pensò alla moglie Barbara ed alla figlioletta Leslie, Dick Garmaker era pietrificato ma vide che i bambini a bordo erano calmissimi. Elgin Baylor si accoccolò in fondo alla carlinga, ed in quel momento la paura svanì…
Era l’1:40 quando il DC 3 scivolò sul campo e si fermò dopo 100 metri. Per alcuni secondi a bordo ci fu solo silenzio…ed improvvisamente esplose la gioia per lo scampato pericolo. Gli atleti saltarono a terra e cominciarono a fare a palle di neve, mentre “Hot Rod” Hundley gridava “E’ fantastico essere di nuovo vivi”. Uno dei primi abitanti di Carroll ad arrivare fu il becchino che, come nel più classico film di Hollywood diede sfoggio del suo humor nero: “Oh, ragazzi, speravo di poter fare affari stasera”. Poi i pompieri e la polizia: i 22 passeggeri e l’equipaggio vennero portati al Burke Motor Inn, dove poterono bere caffè e scaldarsi. Non c’erano telefoni nell’edificio, perciò tutti si misero in fila davanti ai tre apparecchi a gettone appena fuori gli uffici per tranquillizzare amici e parenti prima che la notizia venisse rilanciata da TV e giornali.
Larry Foust aveva un’esagerata inclinazione per l’alcol, e di solito trovava scuse fantasiose per giustificare le sue “imprese” alla moglie Joanie. Quando riferì dell’atterraggio di fortuna nel campo di granturco dell’Iowa, lei rispose: “Non è per nulla divertente. Richiamami quando sarai sobrio” e riagganciò.
Foust si rivolse a Tom Hawkins: “Ti dispiacerebbe chiedere a Doris di chiamare Joanie e dirle che era la verità”?
I Lakers erano sopravvissuti. Se l’aereo si fosse schiantato, è probabile che il proprietario Bob Short avrebbe interrotto l’attività e non si sarebbe trasferito a Los Angeles… la squadra sarebbe rimasta legata alle vittorie di George Mikan e non sarebbe tornata nell’empireo delle migliori franchigie NBA. Consapevoli di essere stati baciati dalla sorte, gli atleti fecero una colletta per i due piloti ai quali dovevano la vita, e a Vernon Ullman venne regalata una targa con la scritta “Ti auguriamo di poter sempre fare atterraggi sicuri come questo”. Non portò molta fortuna al pilota che si vide revocare la licenza per essere sceso col carrello abbassato, contrariamente alle norme di sicurezza dell’epoca.
Ma si sa che il destino a volte gioca con le vite degli esseri umani: due anni dopo i Lakers, ora a Los Angeles, affittarono un aereo per volare a Chicago e giocare una partita d’esibizione. Il DC 3 aveva interni nuovi e due motori fiammanti, ma Elgin Baylor ebbe una sorta di déjà vu e quando atterrò nella “Windy City” incrociò il proprietario della “Butler Aviation”.
“Scusi, dove ha preso questo aereo”?
“Oh, l’ho comprato da quel figlio di buona donna di Minneapolis, Bob Short”…