«Sono quelle cose che uno dice “dovessero arrivare ci penserò”. Ebbene, è arrivata e a dire il vero non ci ho riflettuto molto, cogliendola al volo». Così, Christian Bianchi, il fisioterapista della Pallacanestro Cantù, è entrato afar parte dello staff medico della Primavera del Milan. «Siamo in ritiro a Chatillon, in Val d’Aosta – spiega Bianchi – e ho già avuto modo di constatare che pur trattandosi di una squadra del settore giovanile, la realtà può essere tranquillamente associata a quella di una prima squadra di serie A Per me si tratta di una grossa opportunità perché mi permetterà di vivere la quotidianità a casa e mi consentirà di proseguire a operare nello studio di Andrea (Lanzi, ndr). Insomma, il meglio che mi potesse accadere».
«Americani al guinzaglio» – In verità è un ritorno al calcio, il suo. «In effetti c’era già stata una parentesi al Como di Preziosi, chiusa al termine della stagione 2004-2005 a seguito del fallimento del club. Ma avevo iniziato proprio alle giovanili della Pallacanestro Cantù nel 1995 con coach Pino Sacripanti e pure in seguito passando al Como ero sempre rimasto legato a Cantù perché in quel periodo non c’era un secondo massaggiatore e così ogni tanto davo una mano. Dopodiché nel 2005 sono definitivamente tornato, rimanendoci in maniera stabile sino appunto all’altro giorno». «Ero arrivato a Cantù come giovane giocatore ai tempi degli Allievi – fa presente -, mentre poi da collaboratore ho attraversato diverse proprietà, da Polti a Corrado, da Cremascoli a Gerasimenko». Parliamo di quest’ultima. «Sta cercando di lavorare per riportare Cantù a quello che è il suo prestigio. E in questo senso è cambiata parecchio rispetto all’inizio…». Dalle secrete stanze si dice che se Cantù è tuttora invita lo deva in particolar modo a lei e a Sodini (l’ultimo coach). «Diciamo che siamo state le guide perché avevamo idea di come portare avanti il tutto nel contesto di un ambiente con gente di primo pelo. Soprattutto all’inizio io e Marco ci siamo visti costretti a far tutt’altro rispetto a quello che doveva essere il nostro lavoro per cercare di far partire la stagione. In sostanza, dal campo abbiamo gestito anche ciò che campo non era. Dopodiché con l’avvento di Mauri è diventato meno complicato. Marco e io possiamo anche prenderci il merito di essere riusciti in un momento di palesi difficoltà economiche e in un clima non idilliaco a isolare dal contesto soprattutto i giocatori americani tenendoli al guinzaglio, facendoli remare in unica direzione e tirando fuori il meglio da ciascuno di loro».
«Rimini e gli oltre 6mila tifosi» – «A mio parere ora diventa fondamentale in quest’ottica la figura di Nicola Brienza – puntualizza -. E gli altri che sono reduci da un anno in cui hanno imparato devono ora mettere in pratica ciò che hanno appreso. Soprattutto non si può più sbagliare niente. Sono in pochi e sono dunque costretti a fare un po’ di tutto, con l’obbligo però di farlo bene». Un paio di flash riguardo le gioie maggiori? «Premesso che parto con una valigia piena di ricordi ma, soprattutto, di tanti grazie, direi la vittoria della Supercoppa a Rimini perché destinata a restare una pagina di storia e gli oltre 6mila spettatori che siamo riusciti a portare al palazzetto nell’ultima stagione dopo essere partiti da 600. Questo il successo recente più tangibile».
Fonte: La Provincia