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      Quando il draft si mette di traverso

      Non sempre avere a disposizione la scelta numero uno è garanzia di successo e quando si punta sul cavallo sbagliato possono essere dolori per GM e tifosi.

      Angelo Merendi by Angelo Merendi
      3 Agosto 2018
      in NBA, Scrollbar, UOMINI
      0
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      Esattamente una settimana fa (come passa il tempo) avevamo tracciato una breve e giocoforza incompleta storia delle pick più fortunate nella storia del draft NBA, atleti sui quali non venivano riposte grandi speranze e che hanno fatto la fortuna delle franchigie nelle quali si sono accasati. C’è però anche il rovescio della medaglia, l’incubo peggiore per ogni GM, la proverbiale “sòla”, il principe che si tramuta in ranocchio (e ranocchio resta): in una parola, capita di buttare la prima scelta, magari dopo lunghe programmazioni o scambi sanguinosi, accaparrandosi un “bidone”.

      Anche in questo frangente la casistica è ampia: lasciamo perdere i primi happening degli anni ’40 e ’50, quando la Lega era ancora agli albori e lo scouting delle (poche) squadre era limitato dalle distanze e dalla mancanza di documentazione sui vari atleti che evoluivano sui parquet universitari: si sceglieva sulla base di informazioni frammentarie e spesso si prendevano topiche clamorose, ma era la norma. Dobbiamo però fare un’eccezione, e quell’eccezione risponde al nome di Gene Melchiorre, talentuosissima e minuscola guardia di appena 176 centimetri, colonna dei Braves alla Bradley University dal 1947 al 1951: passatore eccellente, ottimo realizzatore…i Baltimore Bullets, campioni nel 1948 ma in netto declino, non ci pensarono due volte e lo scelsero ad occhi chiusi, d’altronde quel ragazzotto non aveva praticamente difetti, tranne uno: si era venduto qualche partita al college. Può piacere o non piacere, alla NBA non piacque. In realtà stiamo parlando di uno scandalo epocale, di 32 giocatori radiati…tra cui Gene che divenne impiegato delle poste lasciando i Bullets a dibattersi in una mediocrità che li avrebbe portati da lì a tre anni a chiudere bottega. Se lo incontrare chiedetegli di raccontarvi la sua storia, è ancora vivo, la prossima settimana compirà 91 anni.

      Dal fiasco per motivi legali passiamo al più usuale fiasco per motivi tecnici quando i poveri Chicago Zephyrs, al secondo anno di NBA dopo, ovviamente, un esordio difficile, ebbero la prima scelta assoluta da spendere al draft del 1962, quella buona per cominciare a salire la china e sedersi al tavolo con le franchigie più blasonate: nulla di più facile, c’era un centro a Utah che sembrava essere della specie dei Russell e dei Chamberlain…potevano essere un caso quei trentottovirgolaotto punti di media a partita all’ultimo anno di college? E, anche non fosse bastato, quei 15.2 rimbalzi? Nessun tentennamento, Billy McGill, la accendiamo. Peccato che al piano di sopra il ragazzo non si accese mai salvo qualche sprazzo ai Knicks, cui fu ceduto dopo una stagione fallimentare a Chicago; rimase nella Lega solo tre anni per poi ricomparire nella neonata ABA per un altro quinquennio, barcamenandosi con alterne fortune. A fine carriera finì letteralmente in mezzo ad una strada e se non fosse stato per Brad Pye, un giornalista sportivo che ne prese a cuore la sorte trovandogli un impiego, probabilmente la sua storia sarebbe finita in maniera ancor più tragica. Ulteriore nota amara per gli Zephyrs, tra i sei giocatori scelti dopo McGill figurano 3 All Star…e John Havlicek.

      Questo per quanto riguarda la “preistoria”, e allora saltiamo al 1972, a quella che per molti è la prima, vera, pick numero uno buttata alle ortiche: LaRue Martin, centro di Loyola, che non solo all’ultimo anno di college mise in piedi cifre di tutto rispetto (19.6 punti e 15.7 rimbalzi di media), ma diede addirittura filo da torcere a Bill Walton quando si trovarono faccia a faccia. I Trail Blazers si fidarono e, come da copione, fecero un frontale con la jella: 4 anni che definire mediocri sarebbe un cauto eufemismo ed ecco servita la vita cestistica del buon LaRue, più a suo agio come agente assicurativo prima e dirigente UPS poi che con i pantaloncini addosso.

      Fece meglio ma neppure troppo Kent Benson, scelto alla 1 nel 1976; solido centro da Indiana University, dove vinse il titolo nazionale, una volta nel mondo dei “grandi” non seppe ripetersi e chiuse una carriera di 11 anni vissuta da comprimario tra Bucks, Pistons, Jazz e Cavaliers a 9.1 punti e 5.6 rimbalzi di media. Acquisì imperitura fama per la rissa con Kareem Abdul Jabbar, a cui aveva assestato una gomitata dopo due minuti della prima partita giocata da pro. Referto: mascella fratturata per Benson, mano rotta per Kareem.

      Di centro in centro saltiamo al 1989 a ad un draft, è vero, non ricchissimo, durante il quale i Kings videro in Pervis Ellison il potenziale salvatore della patria…e Ellison aveva davvero talento, ma aveva anche due grossi problemi: da una parte un approccio non esattamente leonino alle partite (il nickname “Never Nervous” è esplicativo), dall’altra una predisposizione devastante agli infortuni (anche l’altro soprannome, affibbiatogli da Danny Ainge, “Out Of Service”, valga come didascalia). Ceduto celermente da Sacramento a Washington, ebbe un momento di gloria quando, tra un infortunio e l’altro, riuscì a concludere due stagioni a medie da All Star (20 e 17.4 punti ad allacciata di scarpe), salvo spegnersi nuovamente e definitivamente, soprattutto a causa di una serie infinita di malanni.

      Facciamo ancora un balzo di una decina di anni fino alle porte del terzo millenio, segnatamente al 1998…avete qualche amico tifoso dei Clippers? Quando meno se lo aspetta guardatelo negli ochi e ditegli “Olowokandi!!!”, poi osservatelo mentre si mette a piangere. Michael Olowokandi in quel draft venne preferito a Vince Carter, Dirk Nowitzki e Paul Pierce (e Antawn Jamison, e Rashard Lewis, e pure Mike Bibby a voler essere pedanti); non è che mancassero i talenti, ma quel ragazzone di due metri e tredici centimetri sembrava un predestinato: iniziò a giocare a basket solo a 18 anni e in tre stagioni di college era passato da 4 punti a partita a 22 abbondanti, da 3 rimbalzi a 12, insomma, pareva che potesse davvero essere un crack; invece al momento di calcare i parquet che contano si sgonfiò come un palloncino bucato tanto che nè a Los Angeles, nè a Minnesota e neppure ai Celtics mostrò più di un briciolo di quel potenziale che in molti gli avevano riconosciuto. Si ritirò a 31 anni, anche a causa di un rapporto troppo intenso con le infermerie, lasciando dietro di sè cifre da comprimario.

      Non fecero meglio, un triennio dopo dopo, i Washington Wizards pescando il quasi mitologico Kwame Brown, serio candidato al titolo di peggiore prima scelta all time…e i Wizards lo andarono a prendere addirittura alla high school, primo caso nella storia della NBA. Poteva Michael Jordan, allora “team president”, prendere una topica? La prese eccome, basta dare un occhiata alle statistiche imbarazzanti che Brown collezionò prima di ritirarsi, trentenne, a vita privata (con sessanta milioni di dollari guadagnati, c’è di peggio).

      Veniamo ora ai tempi più recenti, con la sfortunatissima prima pick di Portland nel 2007, sfortunatissima due volte, perchè non solo Greg Oden, circondato da aspettative altissime, di fatto non ebbe mai una carriera NBA a causa di una devastante serie di infortuni, ma anche perchè sarebbe stato disponibile un certo Kevin Durant, che i Seattle Supersonics accolsero senza pentimenti con la scelta numero due. Spiace inserire Oden in questo elenco di “flop”, perchè il ragazzone era davvero forte e sul serio avrebbe potuto diventare un grande del gioco, ma era dannatamente fragile (e sfortunato): non iniziò neppure l’anno da rookie per problemi alla cartilagine del ginocchio destro, problemi che dovettero esere trattati con un intervento chirurgico, poi nel 2009 si ruppe la rotula, poi ancora lo stop a causa della cartilagie usurata, questa volta al ginocchio sinistro; uno stillicidio che lo condusse al ritiro a soli 26 anni con la miseria di 106 partite giocate.

      Buon ultimo, come non citare Anthony Bennett, selezionato in pompa magna dai Cavs nel 2013 (ad onor del vero, fatto salvo Victor Oladipo, quella fu una nidiata poverissima) e subito dimostratosi un flop: qualche comparsata, poi un breve girovagare tra Minnesota, Toronto e Brooklyn fino all’Europa e alle serie minori, ultimo eroe di una lunga dinastia di “bidoni”, figlio di LaRue Martin e nipote di Gene Melchiorre, in attesa di un bisnipote degno di meritarsi l’onore di essere incluso nella lista delle peggiori prime scelte nella storia del draft…

      Tags: Angelo MerendiAnthony BennettBilly McGillGene MelchiorreGreg OdenKent BensonKwame BrownLaRue MartinMichael OlowokandiPervis Ellison
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