Sappiamo tutti che la prima vittima di “The Process”, il processo di rinascita a Philadelphia è stato…il suo inventore. “Sam Hinkie died for our sins”, “Sam Hinkie si è sacrificato per i nostri peccati”, dicono i tifosi dei Sixers sfiorando la blasfemia quando ricordano il licenziamento del general manager che ha abbracciato il “tanking assoluto” come metodo di ricostruzione. Ma a quanto pare le vittime della sua azione (qualcuno dice della sua “maledizione”) sono tante. La più recente e più clamorosa è proprio il GM che ad Hinkie aveva fatto le scarpe, quel Bryan Colangelo “abbattuto” dai tweet della legittima consorte, ma tra i “danni collaterali” vanno sicuramente conteggiati anche Nerlens Nöel e soprattutto Jahlil Okafor.
Con un salto temporale torniamo al draft 2015: Okafor ha appena guidato Duke University al titolo NCAA, un successo da protagonista in una squadra che comunque può contare su Justise Winslow, Tyus Jones e Quinn Cook. Hinkie lo chiama con la terza scelta assoluta e lui risponde con una stagione da oltre 17 punti e 7 rimbalzi di media. Certo, a guastare tutto arriva un infortunio al ginocchio, ed anche se viene votato nel quintetto delle migliori matricole, qualcuno comincia a storcere il naso a fronte delle 72 sconfitte patite dai Sixers in campionato.
La seconda stagione di Jahlil è deludente: a causa dei postumi dell’infortunio si presenta al training camp in chiaro sovrappeso, e la cosa non aiuta dei piedi già non velocissimi. Okafor “si perde” nella rotazione che conta anche Joel Embiid, Nerlens Nöel e Dario Šarić ed i suoi minuti cominciano a declinare, almeno finchè Embiid non è costretto al secondo intervento chirurgico al piede destro. A tutti nell’organizzazione di Philadelphia è però chiaro che il progetto si baserà su Embiid e che Nöel e soprattutto Okafor sono merce di scambio: richieste ce ne sono, ma i Sixers vogliono almeno una prima scelta di alto livello, in cambio.
Nell’estate 2017 Jahlil si sottopone ad una dieta vegana e perde nove chili, ma al training camp non domina…anzi. I suoi giorni in Pennsylvania sono contati dal momento in cui il front office comincia ad abbassare le pretese anche perchè nel frattempo nelle rotazioni è scivolato anche dietro al veterano Amir Johnson. Il 7 dicembre 2017 viene finalmente scambiato: lui, Nik Stauskas ed una seconda scelta finiscono a Brooklyn in cambio di Trevor Booker ed una seconda scelta. Già un “Booker per Okafor” solo sei mesi prima sarebbe stata una bestemmia, figuriamoci se aggiungiamo il decente Stauskas per ragioni di “quadratura del cap”… Sboccerà finalmente l’amore tra Jahlil e una squadra? Non ci vuole molto a capire che neanche i Nets lo vogliono: coach Kenny Atkinson gli concede solo una dozzina di minuti a partita e poi finisce per “panchinarlo” in 15 delle ultime 18 partite.
Contratto terminato, nell’ambiente si sussurra che anche la sua esperienza NBA sia al capolinea. Invece il “gran rifiuto” di DeMarcus Cousins lascia i New Orleans Pelicans orfani di uno “spot” vicino a canestro, ed in mancanza di meglio il GM Dell Demps bussa alla porta di casa Okafor. L’offerta la dice lunga sulla fiducia che i Pelicans sembrano nutrire sul loro nuovo acquisto: un contratto biennale che è parzialmente garantito per il prossimo campionato ed ha una “team option” per il secondo anno…in pratica Jahlil potrebbe essere storia molto presto, se il suo rendimento non si rivelerà all’altezza delle aspettative.
E’ anche lui una vittima di “The Process”, o più genericamente è una vittima dell’NBA, di quell’ingranaggio che seduce giovani di talento e poi li ficca in un tritacarne mediatico? O è forse vittima di sé stesso, della propria incapacità di comprendere cosa serva per avere successo nel mondo del basket professionistico?