Detta così pare una minaccia, un aut-aut, un’ultima chiamata. In realtà, discutendo di un ragazzo di appena ventitrè anni, non lo è affatto, ma quanto titolato non lascia interpretazioni: Giannis Antetokounmpo, stella dei Milwaukee Bucks, non ha più scusanti ed è chiamato ad una stagione da assoluto trascinatore dei suoi.
Facciamo un passo indietro: il numero 34, come ormai tutti sanno, è un prodotto del caso, scoperto da qualche scout NBA quando militava nella sgangherata palestra dei Filathitikos Zoographou, in pieno centro di Atene, quando ancora la cittadinanza greca era una chimera per lui e per l’intera famiglia. L’escalation vissuta dal giovanissimo atleta nigeriano (nel frattempo “furbescamente” divenuto greco su richiesta della federazione ellenica) è stata rapidissima: da promettente rookie, nel giro di un paio di stagioni, è divenuto il punto centrale della ricostruzione dei Milwaukee Bucks, squadra da molti anni nel limbo delle franchigie di metà classifica, situazione pessima per il funzionamento dell’NBA che premia i più forti, attraverso i playoffs, e i più deboli con il conferimento delle scelte più pregiate al draft.
La scorsa stagione i Bucks, dopo un cambio di allenatore in corsa e una regular season tutt’altro che soddisfacente, sono stati eliminati al primo turno dei playoffs in gara-7 dalla rimaneggiata versione dei Boston Celtics, capace però di giungere ad un passo dalle finali NBA, dimostrando con ciò come Giannis e compagni, arrendendosi solo all’ultima gara, si siano comportati ben meglio, per esempio, dei Sixers di The Process, che contro i ragazzi di Brad Stevens hanno saputo vincere solamente una partita, in casa. Antetokounmpo, studiato e ben controllato dalla difesa a cinque stelle di Boston, ha però faticato non poco nella serie, e sono riemersi quei limiti che a detta di molti non permettono ancora di collocarlo ancora nell’empireo dei migliori tre o quattro giocatori della lega. Il tiro da fuori che non viene nemmeno tentato, la difficoltà di trovare soluzioni tecniche alternative a quelle generate dal suo strapotere fisico e atletico hanno fatto nuovamente scorrere le penne dei critici che, dopo aver versato fiumi di inchiostro intriso di speranza e curiosità per il giovane favoloso, iniziano ora a dubitare della sua capacità di fare quel passo in più che lo porterebbe ad essere veramente il trascinatore designato dei Bucks.
Ma perché proprio oggi non ha più scuse? Innanzitutto perché gli anni, per quanto pochi, non sono più venti, e ormai la maturazione cestistica di un atleta NBA è richiesta dopo quattro o cinque stagioni nella lega, specie nel caso delle superstar che, spesso, emergono fin da subito al piano di sopra. In secondo luogo non si può nascondere che, con l’emigrazione ad ovest di un gran numero di talenti avvenuta nel corso delle ultime due offseason, la Eastern Conference di oggi è decisamente impoverita, e si presenta terreno di caccia di tre o quattro squadre, dopo le quali si apre il vuoto. Ebbene, alle spalle dei favoriti Celtics, prima di trovare il nome dei Bucks, si incrociano solamente i Raptors (ammesso che Kawhi sia Kawhi) e i giovani e rampanti Sixers, il che lecitamente porta a pensare che, se Antetokounmpo riuscisse a prendere le redini del gioco e a trascinare – tecnicamente e soprattutto mentalmente – i compagni, allora proprio i Cervi del Wisconsin si potrebbero inserire in quella che, ad oggi, pare una lotta a tre per il trono dell’est.
Ultimo motivo, ma non per importanza, per cui Giannis oggi ha davvero in mano un’occasione unica è l’arrivo, sulla panchina di Milwaukee, di un allenatore del calibro di Mike Budenholzer, unanimemente riconosciuto come una delle guide tecniche migliori della lega, capace di fer rendere al meglio i propri giocatori e, soprattutto, di creare squadre “di sistema”, funzionanti a prescindere dagli interpreti (salvo casi estremi come gli ultimi Hawks) e capaci di raggiungere risultati notevoli. Antetokounmpo, alla cui umiltà si fa sempre riferimento, può finalmente confrontarsi con un grande allenatore, forse unica occasione che non ha ancora avuto da quando ha messo piede nella lega, e se saprà assorbire le richieste e gli insegnamenti di coach Bud potrebbe veramente diventare quel prodotto, potenzialmente devastante, frutto dell’unione tra doti tecniche ad ora da perfezionare e un atletismo fuori scala.
Certo, ai vertici della lega non bastano le parole e non basta l’umiltà. Non bastano nemmeno i numeri, che già sono impressionanti, perché se poi ai playoffs esci al primo turno, dei numeri della regular season non sai che fartene. Questa volta ci vuole qualcosa di più, e ci vuole ora, perché una costa est così sguarnita non ricapita spesso, e perdere un’occasione simile non ammetterebbe scuse: serve che Giannis lavori sui suoi limiti, in particolare sul tiro, e abbia il coraggio di approcciarsi al gioco sviluppando principalmente gli aspetti in cui latita, primo fra tutti le letture offensive da compiere quando le difese avversarie concentrano tutte le loro attenzioni su di lui.
In poche parole non deve accontentarsi, proprio come quando da ragazzino non si accontentava di vendere scarpe per pochi euro per le vie di Sepolia.