La prima volta in cui agli Spurs Gregg Popovich si è trovato in difficoltà, è stata anche l’ultima. Accadde tanto tempo fa, David Robinson si era infortunato ed il “Pop” gli disse “tranquillo, riposati…tornerai per il prossimo campionato”. Diciassette vittorie e quarantasette sconfitte per il coach, ma alla fine arrivò il colpo insperato: al draft San Antonio “gabbò” i Celtics di Rick Pitino e si accaparrò il pezzo migliore – tanti dicono l’unico – del draft 1997, Tim Duncan.
Da quel giorno, non abbiamo più visto degli Spurs perdenti. Ventun anni consecutivi ai playoffs, cinque titoli in sei Finali…ma ogni storia, anche una storia infinita come questa squadra, prima o poi deve terminare e lentamente ma inesorabilmente tutti gli eroi e ne sono andati. Prima Tim Duncan, poi Tony Parker, quindi Manu Ginóbili si sono ritirati o sono emigrati in cerca dell’ultima sensazione forte.
Per tutti i tifosi di San Antonio la rottura con Kawhi Leonard è stata uno shock: la torcia della “Spurs Way” era passata nelle sue mani, ma lui ha dimostrato di non tenerci…e questa volta all’Alamo il suono del “degüello” non è arrivato da lontano, dalle trombe del crudele generale Santa Anna, ma dall’interno dello spogliatoio texano.
E’ così finita un’era, e sebbene il front office degli “Speroni” in qualche modo abbia lavorato per mantenere alto il livello del gruppo, è piuttosto improbabile che riesca ad andare lontano nei playoffs. Certo, Popovich può contare su un quintetto interessante: LaMarcus Aldridge, DeMar DeRozan, Pau Gasol, Patty Mills ed il giovane Dejounte Murray. Dalla panchina pesca l’esperienza di Rudy Gay, Cliff Pondexter e del “figliol prodigo” Marco Belinelli, ai quali si aggiunge la spruzzata di gioventù dell’austriaco Jakob Poeltl, di Bryn Forbes e della prima scelta Lonnie Walker.
Ma la domanda che tutti si pongono all’indomani dell’addio di Manu Ginóbili e quella legata al futuro del coach. Gregg Popovich copirà 70 anni a fine gennaio, ha perso da poco l’amata Erin, ha addosso le cicatrici di tante battaglie. L’operazione al bacino del 2015, un cuore generoso ma che ogni tanto fa le bizze…una camionata di buone ragioni per mollare, per godersi l’inverno da leone.
Nella sua mente c’è però ancora una luce, l’intenzione di mantenere l’impegno preso e guidare la Selezione Nazionale fino alle Olimpiadi di Tokyo del 2020. Ci crede tanto, il “Pop”, ed è logico pensare che si imporrà di cominciare una ricostruzione a San Antonio agevolando il lavoro al suo successore, per poi chiudere in gloria sulla panchina di Team USA che Mike Krzyzewski gli ha ceduto nel 2016.