Non conosco personalmente Dino Radja ma il suo discorso per l’introduzione nella Hall of Fame, come giocatore Fiba, accompagnato da Larry Bird (al quale ha rivolto un “wow” all’inzio della cerimonia, per l’onore di averlo accanto), mi ha molto colpito per la commozione e l’emozione che il giocatore ha trasmesso al pubblico presente. Ha ribadito di essere stato molto sorpreso dall’elezione e di non aver dormito per molte notti e di non aver detto a nessuno dell’onore ricevuto.
E’ facile in questi casi scadere in retorica e parole scontate ma Radja era davvero emozionato, per se stesso e per la sua famiglia presente in blocco. Ha ringraziato i Boston Celtics al quale è rimasto legato (“Once a Celtic, always a Celtic ha tenuto a ribadire).
Radja ha ricordato la grande Jugoslavia degli anni ’90, con lui, Vlade Divac, Toni Kukoč, Stojko Vranković (presente in sala con la famiglia del giocatore e suo grande amico e “fratello maggiore”) Žarko Paspalj, Sasha Djordjević e soprattutto Dražen Petrović, grande simbolo del basket slavo e del movimento europeo. E’ grazie a loro che l’oceano è diventato, usando un’espressione un po’ abusata ma chiara, più stretto ed è grazie a quella straordinaria generazione serbo-croata poi irrimediabilmente divisa dalla guerra che, seppur di poco, le distanze tra Stati Uniti ed Europa si sono in parte ridotte e il basket è diventato sport globale.
Radja segue Krešimir Ćosić e Dražen Petrović come terzo croato ad entrare nella Hall of Fame.
Qui il suo discorso