Tony Taylor sorride gentile ma con lo sguardo un po’ perso, mentre accanto sfila Pino Sacripanti che non trova l’uscita e dopo un paio di avanti-indietro a vuoto chiede informazioni.
Il PalaDozza ancora non lo conoscono bene eppure è già casa loro, e sabato sera ci hanno vinto netto un derby, il playmakerino americano da migliore in campo e rivelazione della serata.
“Bello giocare finalmente sul nostro campo, quasi nessuno di noi sapeva cosa aspettarsi, visto che siamo quasi tutti nuovi. Bella serata, col pubblico decisamente dentro la partita.”
È stata solo una partita dì prestazione come un’altra?: “Noi l’abbiamo presa come una partita vera. Era la prima in città e volevamo presentarci bene, ci tenevamo a far bella figura.”
Che era un derby si è sentito?: “Certo, tutti eravamo carichi e più o meno nervosi, prima di salire la scala. E sapevamo chi erano gli avversari, la rivale storica della Virtus, sapevamo che il nostro pubblico ci teneva.”
Però è stato tutto facile, quasi una galoppata: “Siamo stati bravi noi a farlo sembrare. Facendo quello che bisogna fare, ma non sempre riesce: muovere la palla, correre, difendere, mettere pressione addosso agli altri. Che sono una squadra solida. Lo scarto ampio è merito nostro, non demerito loro.”
Prima partita a Bologna e se ne torna a casa col trofeo per l’Mvp: “Fa ovviamente piacere. Lo prendo come un passo avanti nella ricerca della forma per l’inizio della stagione. Ma è metà settembre, presto per dire qualsiasi cosa.”
18 punti e 3/3 da tre. Oltre che costruire gioco, le piace molto anche concluderlo: “Sul tiro ci ho sempre lavorato tanto, tutta la carriera. Mai stato timido, se c’è l’occasione i tiri me li prendo, anche se la mia prima opzione è sempre quella di costruire per i compagni. Ma sono un play di taglia piccola e so di dovermi guadagnare tutto con la fatica, come ho fatto fin qui. Sono sempre stato considerato uno che non poteva andare da nessuna parte, nessuno mi ha mai regalato niente.”
Dicono che i playmaker di New York, specie se piccoli, siano tutti aggressivi, sfrontati, solisti estrosi cresciuti nella dura legge del playground: “Io vengo da un po’ fuori New York, a nord del Bronx, ma di certo ho dovuto combattere molto per emergere. Una volta tiravo molto di più, ma credo di essere molto cambiato, maturato, soprattutto negli ultimi tempi, da professionista in giro per l’Europa. Oggi sono tutt’altro tipo di giocatore. Ho capito quanto conti costruire le vittorie assieme ai compagni, difendere, avere una mentalità di gruppo.”
Che stagione si aspetta?: “Piena di vittorie, su tutti i fronti. Playoff come minimo, stare tra le prime in Italia e andare molto avanti in Champions League.”
Preferenze?: “Metto tutte le competizioni sullo stesso livello. So che il campionato italiano è duro ed ha una base di tifosi più solida, ma l’Europa è una vetrina importante, con tante squadre forti in giro. L’anno scorso con il Banvit abbiamo fatto molta strada e vorrei farne almeno altrettanta. Ma ogni partita conta.”
È stato in Polonia, Russia, Turchia…: “In Polonia ho vinto il campionato ed una coppa, ma sono stato bene ovunque, anche a Krasnoyarsk, in Siberia. Sono uno che si adatta. Però a Bologna finora è tutto bellissimo. Ma cosa lo dico a fare?”
Fonte: Corriere di Bologna