Vinte le due partite che doveva vincere, ma che in ultimi secondi bollenti poteva agevolmente perdere, la Virtus accosta con minori urgenze la terza, contro Milano. Ci sta di cederla: nell’ordine naturale dei valori l’Olimpia conta troppo di più. Se questa prima Segafiredo lascia infatti intravedere di avere tanti buoni giocatori, l’Armani ne ha tantissimi e buonissimi. Una simil Juventus avviata a dominare, in patria, non solo secondo Luca Baraldi: che poi ci ha aggiunto, a impepare la vigilia, il rilievo sulle soverchianti entrature politiche, dell’una e dell’altra. Svegliare il can che dorme non sarà forse la strategia del secolo, ma la sfida non verrà decisa da due stoccate polemiche. Solo supporlo fa torto al maniacale mestiere di Simone Pianigiani, che partite così le preparerebbe pure al torneo dei bar. In attesa di pensieri, parole e opere di domenica, i tanti, frattanto, aiutano a vincere. E colpisce che, ad eccezione della costante Punter, che sta correndo da solo a un piano superiore, chi ha giocato bene a Trieste ha giocato male in coppa e viceversa. La Virtus lunga ha diversi protagonisti possibili e un tecnico laico nelle scelte, ci sia da attingere nel retrobottega o da panchinare stelle in fase opaca. Coi lituani ha vinto col secondo quintetto, ossia, appunto, quelli affondati a Trieste (Martin, Cournooh, M’Baye, Kravic): di questi, gli 11 punti stivati da Cournooh nel quarto quarto dei risvegli hanno avuto più peso specifico anche dei 27 di Punter, vibrando come una scheggia impazzita dentro la partita avviata sui placidi binari dei dieci punti di scarto, si fosse pure giocato una settimana. Annotate nella colonna dei più anche la difesa di Martin e le stoppate di Kravic, cadenzate come un tergicristallo nei minuti di svolta (tre, non solo l’ultima), non va nascosta la colonna dei meno. Cresce adagio Qvale (comunque meglio, con il Neptunas), tarda ancora Taylor, che dovrà dirigere con più energia e meno falli inutili (già emersi in precampionato): se gioca 16 minuti e per il resto fa il tifo dalla panchina, il dettaglio è umanamente lodevole, non fosse però pagato per farsi tifare. E di mercoledì, dopo la domenica ispirata, è affogato Aradori, in debito di velocità e fisicità contro la rocciosa concorrenza baltica: in nazionale regge, può farlo anche qui. Bene infine, rispetto a Trieste, i rimbalzi: lassù una mattanza, quaggiù un corpo a corpo alla fine risolto, pure contro gente più grossa e cattiva. I 9 più 9 di M’Baye e Martin annunciano che, anche in futuro, non sarà solo un affare dei centri, ma di chi vuole iscriversi a saltare. Da ultimo, Sacripanti ha ringraziato il pubblico, che ha soffiato generosamente nelle vele della rimonta. Che però l’arena fosse mezza vuota, per un ritorno in Europa atteso dieci anni, deve far riflettere, al di là delle sempiterne baruffe sul caro biglietti. Le coppe non si fanno per diritto divino, quei dieci anni di siccità qualcosa dovrebbero dire, o almeno suggerire che altri ne potranno capitare. Godersi l’attimo è il minimo, se poi piovono vittorie così eccitanti diventa più del minimo.
Fonte: Repubblica Bologna