La notizia, tragica e incredibile, è arrivata alle 11.37, lanciata dall’Espn e ripresa dai quotidiani sportivi italiani. Patrick Baumann, segretario generale della Federazione Internazionale del Basket dal 2002 e membro dal 2007 del Comitato Olimpico Internazionale, è morto a Buenos Aires, mentre stava passeggiando con alcuni amici, stroncato da un infarto. Aveva solo 51 anni, era uno degli uomini più importanti dello sport mondiale, stava seguendo i Giochi Olimpici della Gioventù di cui era stato uno dei più convinti promotori. Lascia a Ginevra la moglie Patricia e due figli adolescenti, a cui vanno le condoglianze dell’intero mondo sportivo. Lascia soprattutto un grande vuoto in chiunque lo abbia conosciuto apprezzandone la disponibilità, l’inesauribile vitalità che lo aveva portato a riformare radicalmente l’istituzione che gestiva e a perseguire il sogno di un basket globale superando le divisioni continentali e portando il basket là dove, Cina e India in particolare, il nostro sport può contare i margini maggiori di espansione.
Gli incarichi di altissimo livello ricoperti con successo, lungimiranza e spirito innovativo in ambito olimpico, la sua relativa giovinezza in un ambiente che per definizione è stato sempre arcaico e conservatore, lo ponevano tra i più accreditati candidati all’eredità di Thomas Bach alla presidenza del Cio. Ha pagato sicuramente il suo incessante dinamismo. A Buenos Aires era arrivato direttamente dalla Cina, da Xi-an, dove aveva appena chiuso il primo World Summit del basket nel quale aveva riunito per discutere del futuro della pallacanestro i massimi rappresentanti del basket ma anche del mondo industriale, del marketing, della comunicazione, per approfondire e delineare progetti di ulteriore espansione.
Patrick aveva trascorso adolescenza e giovinezza in Italia, sulla Riviera ligure, dove aveva cominciato a giocare a basket diventando in seguito allenatore e arbitro. E all’Italia, parlando perfettamente la nostra lingua insieme ad altri sei idiomi, è rimasto sempre profondamente legato, anche quando, dopo la laurea in legge, aveva approfondito studi ed esperienze presso la Business School dell’Università di Chicago, il master in Sports Administration Management presso l’Università di Lione e infine l’ulteriore specializzazione in giurisprudenza presso l’Università do Losanna. Uomo di profonda cultura, dunque, che Boris Stankovic aveva voluto al suo fianco fin dal 1994 a soli 27 anni per poi lasciargli la segreteria generale della Fiba nel 2002. Recentemente, e all’unanimità, gli era stato confermato il suo ruolo fino al 2031, un attestato significativo della qualità dell’uomo e del valore aggiunto che con le sue intuizioni aveva consegnato al basket mondiale.
Personalmente ricordo il ragazzo che venticinque anni fa Boris mi presentava giurando sul luminoso futuro di un uomo che amava come un figlio, il Segretario Generale che nel 2010 volle dimostrare stima per il mio lavoro, concedendomi l’Order of Merit della Fiba. Più semplicemente e umanamente l’amico che non ha mai fatto mancare la sua disponibilità, come nell’ultima occasione di incontro, poco meno di un mese fa a Mies nella splendida House of Basketball che aveva voluto costruire a un passo da Ginevra, concedendomi una lunga intervista per Basket Magazine, pubblicata in questo numero di ottobre, che mi sembra giusto condividere per far conoscere quanto più possibile il suo pensiero, i suoi progetti, la visione di un basket che non fosse solo show-business, ma anche solidarietà e opportunità, attraverso la pratica dello sport più bello al mondo, di educazione e di crescita sociale in ogni angolo del nostro pianeta. Una visione etica, forse difficile da comprendere e da accettare, ma per la cui realizzazione aveva impiegato ogni sforzo: pagandolo alla fine con la sua stessa vita.
Fonte: www.marioarceri.com