Alla vigilia di questo campionato NBA la situazione della Western Conference pareva abbastanza chiara: davanti a tutti, con due lunghezze di vantaggio per utilizzare un paragone “ippico”, stavano i Golden State Warriors, poi gli Houston Rockets e, alle spalle, un folto gruppone di squadre che potevano ambire al titolo di terza forza, con licenza di sognare un lungo cammino ai playoffs, magari addirittura una finale ad Ovest in caso una delle due favorite avesse subito una qualche difficilmente pronosticabile battuta di arresto. Tra queste figuravano certamente i Denver Nuggets, squadra giovane ed affamata, come affamati erano e sono certamente i tifosi, che da cinque lunghi anni non respirano più l’aria della post-season. E’ in effetti ironico che dalla “Mile-High City” si fosse da tempo abituati a guardare dal basso in alto la classifica, ma questo depressivo trend sembra essersi arrestato di botto: ad onor del vero già l’anno scorso i playoffs erano sfuggiti letteralmente per un soffio, proprio all’ottandaduesima partita nello spareggio che un destino assai cinico aveva fissato a Minneapolis contro i Timberwolves...la disfida aveva sorriso ai padroni di casa e i Nuggets erano stati relegati al nono posto per la seconda stagione consecutiva. Ora, complice anche l’inizio orribile dei Rockets, la truppa di Mike Malone si ritrova, dopo otto partite, a tallonare i favoritissimi Warriors dopo averli addirittura battuti e nonostante l’infortunio di Will Barton dopo sole due partite. Ciò stupisce solo fino ad un certo punto, perchè la squadra è oggettivamente di ottimo livello: Nikola Jokic, al quarto anno, continua nella sua impressionante crescita, ben coadiuvato da Gary Harris, nonostante qualche difficoltà di troppo nel tiro da fuori e da Jamal Murray, che sta confermando quanto di buono mostrato nel suo anno da sophomore. Paul Millsap, da parte sua, unico ultratrentrenne di una formazione altrimenti assai giovane, se da una parte conferma di non essere più così solido com’era ad Atlanta, dall’altra garantisce quell’esperienza che è merce rarissima a Denver e che verrà certamente utile nel prosieguo della stagione…intanto il buzzer beater del 109-108 che ha garantito la vittoria del 31 Ottobre a Chicago porta la sua veneranda firma. Detto che l’unica battuta di arresto è datata 25 Ottobre a Los Angeles in casa di LeBron James, le altre “vittime” sono state Clippers, Suns (con la prestazione-monstre di Jokic da 35 punti, 11 rimbalzi, 11 assist e 11/11 al tiro), Kings, Pelicans, Cavaliers e, soprattutto, i Golden State Warriors, battuti in casa da una partita convincente di Harris e Jokic ma anche da una panchina dominante che ha surclassato quella dei più celebrati avversari e dalla stoppata di Juan Hernangomez su Damian Jones a due secondi dalla sirena sul 100-98, poi risultato finale. La squadra appare coesa, bilanciata, difende bene ed ha solide opzioni offensive, ma non è tutto oro quello che luccica, ovviamente: l’assenza di Barton (infortunio all’anca), che aveva iniziato con 19 punti ai Clippers e 14 (in 19 minuti) ai Suns, potrebbe protrarsi oltre il mese e mezzo e i rientri di Isaiah Thomas e del rookie Michael Porter Jr. sono incerti anche nel lungo periodo. Questo, per una squadra dalla panchina buona ma senza elementi di assoluto valore potrebbe rappresentare un problema non da poco, specie se si verificasse qualche battuta d’arresto di troppo e la fiducia dei tanti giovani cominciasse a venir meno. Ma a questo i tifosi di Denver penseranno, eventualmente, a suo tempo: per ora si limitano a guardare finalmente la classifica dall’alto dei loro 1700 metri di altitudine.