Dalla pallacanestro fino alla boxe. Federico Buffa, intervistato dal Corriere di Bologna, si racconta alla vigilia di “A night in Kinshasa”, spettacolo ispirato dalla sfida Ali-Foreman del 1974 che andrà in scena al teatro di San Giovanni in Persiceto.
Si parla di boxe, ma per molti San Giovanni in Persiceto uguale Marco Belinelli…
«Anche per me. Non ci sono mai stato e mi incuriosisce molto, proprio perché ne ho sentito parlare a lungo da Marco. Che appena finisce la stagione Nba ci torna e riprende a frequentare i soliti posti, a chiacchierare con la gente del solito bar, come se non si fosse mai spostato da lì. Ricordo i suoi racconti, lo strano slang che parlava con i vecchi amici, un paio li ho anche conosciuti, tipi divertentissimi. Una bella storia della provincia italiana».
L’ha visto giocare di recente?
«Ieri notte, contro Miami. Tornare a San Antonio gli ha fatto bene, è l’ambiente perfetto per lui, per l’altissimo livello di conoscenza del gioco che ha raggiunto».
Eppure, dopo undici anni di Nba con un titolo vinto nel 2014, ancora non viene del tutto apprezzato, quel che ha raggiunto lo si dà come per scontato. Specie dalle nostre parti.
«L’aver cambiato molte squadre può trasmettere un’impressione sbagliata della sua carriera. Invece tutti gli allenatori che ha avuto lo adorano. Ha sempre avuto l’intelligenza di capire che cosa ci si aspettava da lui, e di regolarsi di conseguenza. Fin dai primi anni, quelli del tirocinio molto duro, passando poi per grandi annate, per arrivare a oggi: in uscita dalla panchina in tutta l’Nba non vedo giocatori tanto migliori di lui, e nessuno che tiri meglio da tre fuori equilibrio».
Quindi guarda ancora l’Nba?
«Forse un po’ meno di quando ci lavoravo, ma ne guardo tantissima. Però con occhi diversi: sono meno analitico, posso permettermi di farlo da semplice appassionato. Che è anche molto più divertente».
Altro basket?
«Zero. Guardo anche poco calcio, solo un po’ di Champions League».
Bologna ha sempre la testa tra i canestri.
«Ogni volta che ci passo penso a quando ci venivo da ragazzino, da tifoso della Pallacanestro Milano, che allora si chiamava Mobilquattro, e più tardi Xerox. Per me era veramente come arrivare a New York ed entrare al Madison, soprannome che tra l’altro venne coniato da Aldo Giordani, che poi è stato il maestro di tutti noi. Per il basket quel palasport è un palcoscenico che non ha eguali, la cosa sorprendente è che sia ancora lì, col suo fascino intatto. È come quando entri al Bernabeu, a Madrid, si respira talmente tanta storia che l’ambiente diventa teatrale. Però mi chiedo: cosa sarebbe Bologna, con la sua centralità, se avesse un grande impianto moderno tipo la 02 Arena?».
Fonte: Corriere di Bologna