Il coach di Torino Larry Brown, intervistato da Andrea Tosi della Gazzetta dello Sport, ha parlato delle sue origini, delle sue condizioni di salute e non solo.
ORIGINI EUROPEE – “Il nonno paterno e i miei genitori erano russi. Mamma era di Minsk (oggi Bielorussia). Il nonno emigrò da solo negli Usa alla fine dell’800. Aprì una panetteria, fece fortuna e portò il resto della famiglia a New York, n cognome Brown non è originale. Le autorità di Ellis Island, l’isola dove gli emigrati dovevano soggiornare in quarantena prima di sbarcare in America, “ribattezzarono” mio padre come Wilson Brown. Perciò ho origini europee”.
LA PRIMA VOLTA IN EUROPA – “Nel 1964, con la Nazionale Olimpica Usa, preparammo i Giochi di Tokyo con un lungo tour oltreoceano che iniziò in Francia e si sviluppò nell’Europa orientale. Poi tornai 10 anni dopo, come allenatore guidando una selezione universitaria. Giocammo in Polonia, Cecoslovacchia e in Unione Sovietica. Eravamo nel pieno della guerra fredda: la gente ci fischiava e applaudiva solo i nostri giocatori di colore”.
EUROPA E AMERICA – “Da tempo preferisco il basket europeo all’Nba. Qui il tiro da tre punti viene usato con più raziocinio, in Nba per fare spettacolo fine a se stesso”.
SALUTE – “Sto bene, da marzo ad oggi mi sono dovuto sottoporre a 5 “interventini” (li chiama così, n.d.r.) per sistemare il mio organismo. Durante la sosta della Nazionale tornerò a Dallas per l’ultimo “aggiustamento”. Starò via 4 giorni. Così potrò tornare a Torino e finire la stagione senza ulteriori problemi”.
RITIRO – “La testa e il cuore mi dicono che sono più giovane. Mi sento ancora tanto lucido e appassionato per insegnare il gioco. Peppe Poeta dice che vivrò fino a 150 anni. Subito dopo avere vinto il suo 5° titolo con gli Spurs, coach Popovich mi chiamò rivelandomi la sua intenzione di ritirarsi. Gli risposi che era la decisione peggiore che potesse prendere dopo una stagione lunga e davanti alla prospettiva di fare, l’anno dopo, il back to back. Lui replicò seccato che aveva altri interessi fuori dal basket mentre io so solo allenare. Ha ragione. Non mi vedo in un’altra funzione che non quella del coach. Per me non è un lavoro, in 45 anni non ho mai lavorato un solo giorno”.
I CAMPIONI SONO CAMBIATI – “Bill Russell, Oscar Robertson Julius Erving e Larry Bird, per fare esempi forti, hanno completato i quattro anni di college. Lo stesso Michael Jordan ne ha fatti tre. Vuol dire che sono stati istruiti ad affrontare la vita prima che il campo. E poi sono rimasti sempre nelle loro squadre per vincere. Oggi LeBron è il numero 1, seguito da Durant. Loro invece hanno inseguito i super team per vincere. È più facile così”.