Doveva essere un’annata di ricostruzione e crescita, con pochi sogni di gloria e speranze ridottissime nel breve termine. Tuttavia è innegabile che il cammino dei Chicago Bulls, passato il “primo quarto” di stagione regolare, sia comunque deficitario. I più ottimisti speravano addirittura, beninteso se tutti i tasselli fossero andati al posto giusto, di poter lottare per un posticino ai playoffs, invece la classifica, impietosa, relega i nipoti di Michael Jordan in una malinconica penultimna posizione ad Est, con 5 vittorie in 24 partite, una sola in più dei derelitti Cavs, al primo anno di vedovanza da Re James.
La prima tegola era caduta sul capo di coach Fred Hoiberg già a fine settembre, quando un infortunio al gomito in allenamento aveva fermato ai box Lauri Markkanen, che da rookie aveva favorevolmente impressionato in virtù di una mano morbidissima, oro puro per il basket moderno in un corpaccione da 213 centimetri, guadagnandosi l’inclusione nel quintetto delle migliori matricole. Il finlandese è rientrato nella netta sconfitta (105-121) patita Sabato ad Houston mostrando però segnali confortanti: per lui 10 punti e 4 rimbalzi in 26 minuti. Anche Kris Dunn e Bobby Portis, sui quali c’erano ottime aspettative, sono stati vittime di infortuni al ginocchio che di fatto li hanno costretti al riposo fin da inizio stagione e solo ora sembrano sulla via del ritorno in campo.
Insomma, non sono molte le buone notizie in casa Hoiberg dopo un mese e mezzo di basket giocato, ovvero ciò che è un tempo sufficiente per stilare un primo bilancio: i Bulls hanno dimostrato di poter fronteggiare per ampi tratti di partita anche squadre ben più accreditate, ma di mancare completamente di continuità nel corso dei 48 minuti, subendo parziali devastanti in grado di rovinare quanto di buono costruito fino a quel momento: certo, il roster è tra i più giovani della lega, basti pensare che il solo Robin Lopez ha compiuto 30 anni e 11 giocatori su 15 ne hanno meno di 25, tuttavia l’accumularsi di sconfitte non può non essere frustrante, soprattutto perchè di fatto non c’è ancora stato un vero “squillo”, una vittoria da underdog in grado di dare un po’ di morale ad un gruppo che ne avrebbe bisogno. Sinora le sporadiche affermazioni sono arrivate contro squadre altrettanto derelitte: Atlanta, Phoenix, Cleveland, New York, più Charlotte, l’unica franchigia del lotto ad avere attualmente un record intorno al 50%. Aggiungiamo le previste difficoltà difensive (anche se rispetto a quanto preventivabile il diciannovesimo posto per punti subiti ogni 100 possessi non è neppure malvagio) e la frittata è fatta.
Tra le poche luci, oltre alla auspicata esplosione di Zach Lavine, blindato con un contrattone da 78 milioni per 4 anni (il ragazzo andrà comunque compiutamente giudicato in un contesto maggiormante competitivo, prima di gridare al miracolo), possiamo senz’altro annoverare la buona crescita di Jabari Parker: il ragazzo sembra aver dimenticato i ricorrenti malanni fisici e, trovata continuità, sta mostrando sprazzi di quella classe che gli fu riconosiuta al draft del 2014, quando i Bucks se lo accaparrarono con la pick numero 2. Sorprende anche la stagione di Ryan Arcidiacono: fino al 15 di Ottobre le sue possibilità di diventare un solido giocatore di rotazione erano un grosso punto interrogativo; l’anno da rookie era stata poca cosa, 300 minuti in campo e ancora tutto da dimostrare. Invece, dopo l’infortunio di Kris Dunn si è trovato ad aver maggiori responsabilità, ripagando il coach con 8 punti, 4 assist a partita ed un ottimo 46% dal campo. Positivo anche Justin Holiday che, nonostante l’usuale selezione di tiri non esattamente da ragioniere del canestro, numeri alla mano sta avendo la migliore stagione in carriera (12.5 punti di media e il 38.7% da tre). Tra le matricole conferma le aspettative Wendell Carter Jr. che sta trovando minuti per crescere e numeri che fanno ben sperare per il futuro.
Tutto sommato “non benissimo”, dunque: qualche segnale di vita sembra covare sotto la cenere, ma per tornare ad essere una delle franchigie-guida ad Est la strada da percorrere è ancora molta. Sul coach inoltre potrebbero essere presto necessarie alcune valutazioni se i risultati dovessero continuare a latitare. La palla passa al front office, per il quale l’estate del 2019 si prospetta bollente.