Tra i ‘personaggi in cerca d’autore’ dei New York Knicks versione 2018/19, ne spiccano due i cui percorsi hanno seguito binari paralleli, portandoli da Ann Arbor, Michigan, alla conquista del Madison Square Garden: Tim Hardaway Jr. e Trey Burke. Per entrambi, la formazione cestistica è stata influenzata dalla presenza di un padre ‘ingombrante’. Tim Hardaway Sr., motore dei mitici ‘Run TMC’ a Golden State e poi idolo indiscusso dei tifosi a Miami, sottopose il figlio ad allenamenti intensivi, con l’esplicita intenzione di farne un giocatore professionista. Anche il padre di Burke, come spesso accade in certi contesti, decise di dedicarsi in prima persona allo sviluppo dell’erede, potenziale ‘macchina da soldi’ per lui e per la famiglia. A influire maggiormente sulla crescita di Trey fu però un’altra figura paterna: Satch Sullinger, il cui figlio, Jared, trascorrerà cinque stagioni in NBA (da promessa non mantenuta) tra Boston e Toronto.
Le due strade si incontrarono dunque ad Ann Arbor, nell’estate del 2011. Hardaway, arrivato l’anno prima, si era già imposto come miglior realizzatore dei Wolverines, trascinandoli fino al secondo round del torneo NCAA. Con l’arrivo di Burke, coach John Beilein si ritrovò fra le mani quello che sarebbe diventato il miglior backcourt collegiale d’America. Michigan chiuse la stagione con 24 vittorie e 10 sconfitte, ma fu eliminata al primo turno della ‘Big Dance’ da Ohio University. Hardaway, Burke e l’altra guardia Zack Novak vennero inseriti nel quintetto ideale della Big Ten. Trey, che venne anche nominato miglior matricola della Conference, valutò a lungo l’ipotesi di dichiararsi eleggibile per il draft NBA 2012, ma decise di rimanere alla corte di Beilein per tentare un ultimo assalto al titolo e per guadagnare ulteriore credito nei confronti degli scout. La scelta fu quantomai azzeccata; nel giro di un anno, Burke divenne uno dei migliori prospetti della nazione. Venne nominato sia Big Ten Player Of The Year che National Player Of The Year e fu incluso nel primo quintetto All-American. Burke e Hardaway (anch’egli incluso nel primo quintetto della Big Ten) vennero raggiunti da altri futuri giocatori NBA come Nik Stauskas, Caris LeVert, Glenn Robinson III e Mitch McGary. Michigan arrivò a giocarsi la finalissima del torneo NCAA, ma fu sconfitta dalla Louisville di Rick Pitino (titolo poi sottratto ai Cardinals in seguito allo scandalo esploso nel 2015). La cocente delusione fu in parte mitigata dalla notte del draft 2013, che proiettò Burke e Hardaway nel dorato mondo dei professionisti NBA. La point guard fu scelta con la nona chiamata dai Minnesota Timberwolves, che la girarono subito agli Utah Jazz (in cambio delle scelte numero 14 e 21), mentre Hardaway fu chiamato per ventiquattresimo dai New York Knicks.
La carriera dei due proseguì, come detto, su binari paralleli: entrambi furono protagonisti di un’ottima stagione d’esordio, suggellata dall’inclusione nell’ All-Rookie First Team, poi di un brusco declino. Hardaway, che a New York ebbe qualche dissapore con la stella Carmelo Anthony, fu spedito senza remore agli Atlanta Hawks. In Georgia (dove aveva visto sfumare il titolo NCAA con Michigan) partì dalla D-League, ma riuscì pian piano a conquistare spazio e considerazione, fino a guadagnarsi un posto nel quintetto di Mike Budenholzer. Nell’estate del 2017, i Knicks lo riaccolsero a Manhattan con un notevole biglietto di benvenuto: un contratto quadriennale da 71 milioni di dollari.
Nel frattempo Burke, ‘scaricato’ dal nuovo coach di Utah, Quin Snyder, iniziò un mesto girovagare tra la panchina degli Washington Wizards e la D-League. Il 15 gennaio, le strade di Hardaway e Burke tornarono a incrociarsi. Trey fu chiamato in prima squadra dai Knicks, in una sorta di ‘commemorazione’ dei Wolverines che furono, contro i Brooklyn Nets di Stauskas e LeVert. Le sue buonissime performance (tra cui una notte da 42 punti e 12 assist contro Charlotte), gli fecero guadagnare il rinnovo contrattuale. Oggi, Hardaway e Burke sono tra le poche note liete dell’ennesimo periodo buio dei Knicks. Il primo guida la squadra per punti (22.1 di media), assist e minuti giocati, il secondo (attualmente ai box per infortunio) ha conquistato l’esigente pubblico del Madison Square Garden con la sua leadership e la sua intensità, doti non certo comuni a molti compagni in blu-arancio.
Con ogni probabilità, anche questa stagione porterà nella ‘Big Apple’ più amarezze che gioie. Ciò non toglie che i due eterni compagni si stiano ritagliando un posto di tutto rispetto nella lunga e tormentata storia della franchigia.