“Con l’obiettivo di continuare a far crescere e vincere I Chicago Bulls, abbiamo deciso che fosse necessario un cambio dell’allenatore. Giorni come questo sono difficili ma necessari per arrivare a raggiungere i nostri obiettivi ed onorare l’impegno nei confronti dei tifosi”.
Se pensate che questo sia il comunicato col quale il front office dei Chicago Bulls ha annunciato il licenziamento di coach Fred Hoiberg, vi sbagliate. Sono le parole utilizzate da Jerry Reinsdorf – storico proprietario dei Bulls e “papà” delle mille vittorie dell’era Michael Jordan – nel maggio del 2015 per confermare l’interruzione del rapporto con Tom Thibodeau, oggi allenatore (qualcuno dice a tempo determinato) dei Minnesota Timberwolves.
Da quel giorno molte cose sono cambiate nella Città del Vento, ma in peggio. I Bulls, che con Thibodeau avevano inanellato una serie di cinque apparizioni consecutive ai playoffs ed avevano vinto il 65% delle partite giocate in regular season, hanno perso praticamente tutti i protagonisti di quella cavalcata: Derrick Rose, rinato a Minneapolis proprio grazie a “coach Thibs”, Jimmy Butler, Pau Gasol, Joakim Noah, Nikola Mirotić.
A sostituirli oggi troviamo Zach LaVine, Justin Holiday, Jabari Parker e Lauri Markkanen, quest’ultimo in rientro da un brutto infortunio: che speranze poteva avere Fred Hoiberg di evitare il capestro? Nessuna ovviamente. Non sono mai stato un grande estimatore del coach nativo di Lincoln, Nebraska, ma mi sembra evidente che con il suo licenziamento i Chicago Bulls non risolvono il problema di fondo, che è quello di una pessima gestione del parco giocatori. Perché il problema principale è quello se gli atleti che ti hanno portato ai playoffs se ne vanno e come rimpiazzi ti affidi a giocatori che non “spostano”. Non solo: dopo la splendida “presa” di Jimmy Butler nel 2013, dal draft non è più arrivato alcun giocatore in grado di contribuire sensibilmente alla causa ed anzi i Bulls si sono distinti per qualche “svarione” (uno su tutti, la trade di Yusuf Nurkić in cambio di Anthony Randolph e Doug McDermott).
Ecco perché siamo arrivati al “Giorno della Marmotta”, quello che sembra ripetersi all’infinito: il front office di Chicago – come nel 2015 – si è liberato di un allenatore che sicuramente ha le sue colpe, ma non ha alcuna responsabilità sulla mancanza di talento del roster che gli era stato messo a disposizione. Invece in una tristissima intervista il GM John Paxson ha infierito sul coach in uscita, dichiarando che “il metodo di lavoro di Hoiberg era la ricetta per il disastro”. Come detto, sono convinto che Hoiberg abbia commesso degli errori, e che essi abbiano influito sulle sorti della squadra. Ma non ci vuole un genio per capire che anche Paxson ha pesanti responsabilità sulla situazione in cui versa Chicago, ed anche lui dovrebbe farsi da parte per lasciare il campo a chi è in grado di riportare i Bulls ai fasti del passato.
Intanto il nuovo corso riparte da coach Jim Boylen e la scarica di adrenalina del cambio di timone hanno generato una bella vittoria sugli enigmatici Oklahoma City Thunder, con tanto di canestro sulla sirena per Lauri Markkanen. Tutto a posto? No, visto che la gara seguente, ospiti i Boston Celtics, si è risolta nella peggior sconfitta nella storia dei Chicago Bulls. Cinquantasei punti di scarto frutto di una passività sui due lati del campo che non può essere imputata a coach Boylen, ma alle scelte del front office.
La disfunzionalità dei Bulls raggiunge lo zenit quando dopo la disfatta si radunano in palestra per un meeting chiarificatore (al posto del consueto allenamento) e invece di trovare la stessa lunghezza d’onda ricominciano a far polemica: coach Boylen confessa ai giornalisti di aver indetto l’incontro ed un paio di giocatori contesta “non è vero, l’abbiamo organizzato noi”… Ecco, se nemmeno dopo un -56 si riesce a pensare alla squadra…
Siamo ben lontani dai livelli ai quali Jerry Reinsdorf, John Paxson e Gar Forman erano abituati – ed avevano abituato i tifosi – solo pochi anni fa, fino al giorno in cui Tom Thibodeau, nonostante le cinque partecipazioni ai playoffs in cinque anni, è stato giubilato solo a causa del carattere poco malleabile. L’esperienza Hoiberg è stato disastrosa, ma continuare a scaricare sul coach esonerato tutte le colpe del fallimento è un gioco che può riuscire solo se Reinsdorf continua a non vedere o a…non voler vedere.