Nel gergo NBA si usa definire “contract year” la stagione che si affronta nell’ultimo anno del proprio contratto, quella che precede la firma di un nuovo accordo contrattuale. Una situazione stressante, con delle pressioni notevoli, ma anche degli stimoli eccezionali perchè, sebbene si parli comunque di privilegiati, e quindi l’affermazione potrebbe sembra eccessiva, dalle prestazioni di questo anno dipende il loro futuro finanziario.
Le superstar come Kevin Durant, Klay Thompson, Kyrie Irving e Jimmy Butler – solo per fare alcuni nomi – sono esentati da quel tipo di pressione. Sanno che, se non ci saranno episodi gravi legati alla loro salute fisica (vero DeMarcus Cousins?), allo scoccare della mezzanotte del primo giorno utile per i nuovi accordi, avranno sul tavolo tante offerte al massimo salariale pronte da firmare.
Ma se scendiamo di “status” le cose cambiano eccome. Le prestazioni nel “contract year” possono influire per decine di milioni di dollari. Pensiamo a Kemba Walker, un All Star ma un gradino sotto le superstar ricordate in precedenza. Il suo anno sensazionale (25 punti e quasi 6 assists di media) lo ha di colpo fatto entrare nella ristretta cerchia che aspira al fantasmagorico “supermax contract”, l’estensione contrattuale di cinque anni per 221 milioni di dollari. Un traguardo eccezionale per Kemba, ma anche un rischio per gli Hornets, la squadra che dovrà decidere se il ventinovenne Walker sarà in grado di replicare le prestazioni di questo fantastico 2018/19 anche nei prossimi anni, quando la sua freschezza fisica appassirà inesorabilmente.
Lo stesso discorso si può estendere anche a Tobias Harris, uno dei maggiori protagonisti dell’ottima stagione dei Los Angeles Clippers. I suoi 21 punti di media, con il 50% dal campo e l’ottimo 42% dalla linea dei tre punti, rappresentano il meglio che Tobias abbia mai espresso su un campo di basket. Il suo rendimento è così incisivo che in molti ipotizzano una sua convocazione per l’All Star Game di Charlotte, un traguardo incredibile se pensiamo come Tobias sia stato ceduto senza troppi ripensamenti da Orlando e Detroit. Cosa ci sarebbe di meglio dell’entrare sul mercato dei free agent come All Star?
L’aspetto più intrigante è però scoprire come l’ “effetto contract year” ha influito notevolmente sul rendimento di alcuni giocatori di “seconda fascia” (senza offesa, naturalmente), quelli meno acclamati dal pubblico e dalla stampa.
A Orlando negli ultimi anni non si può dire che siano abbondate le buone notizie: il record della squadra è sempre stato ampiamente insufficiente, e il gioco non ha mai scatenato la fantasia degli appassionati. Quest’anno, sorprendentemente, la stagione sta andando meglio del previsto, e il merito è da ascrivere principalmente a Nikola Vucevic e Terrence Ross. Vucevic è ormai un veterano di Orlando – è arrivato nel 2012 all’interno della complicata (e anche infausta per i protagonisti principali) trade che portò Dwight Howard ai Lakers e Andrew Bynum a Philadelphia – ha sempre disputato stagioni solide e di buon livello (e i 15 punti e 10 rimbalzi di media in carriera sono lì a dimostrarlo). Ma quest’anno sta facendo decisamente meglio, il montenegrino sta viaggiando a oltre 20 punti e 12 rimbalzi (entrambi career high, naturalmente) e, oltre alla sua consueta pericolosità in post basso, ha aggiunto una dimensione perimetrale (è passato dal 31 al quasi 40% dall’arco) che lo rende ormai una minaccia in ogni zona del campo. Per i Magic si prospetta un bel dilemma quando si siederanno al tavolo delle trattative, considerando le cifre strappate negli anni scorsi da giocatori come Clint Capela e Derrick Favors, non così superiori a Nikola. E, a complicare le cose per Orlando, c’è Mohamed Bamba, ancora immaturo ma con un potenziale tale che sarà difficile lasciare in panchina ancora per molto tempo.
Anche Terrence Ross sta giocando una stagione “diversa” dal solito. Il confronto con il campionato scorso non lascia dubbi: è passato dal 39 al 43% nella percentuale al tiro, dal 32 al 39% dall’arco dei tre punti, dai 9 ai 13 punti di media. Arrivato in Florida nella trade che ha spedito Serge Ibaka a Toronto, Ross ha faticato a inserirsi nella nuova e poco stimolante realtà. Quest’anno però gli stimoli sono tornati, e il suo rendimento sembra tornato quello che ai Raptors ne aveva fatto uno dei migliori sesti uomini della Lega. Se il non verrà ceduto – ci sono vari rumors che lo riguardano – in estate il front office avrà un’altra decisione non così facile.
La stagione a Boston non sta avendo ll’andamento che in molti pronosticavano a inizio stagione, l’inserimento di Kyrie irving e Gordon Hayward, nel meccanismo quasi perfetto ammirato negli scorsi Playoffs, ha rallentato i Celtics in questi primi mesi di stagione. Nel tentativo di risolvere alcune di queste difficoltà, Brad Stevens ha deciso di promuovere in quintetto Marcus Morris, e l’ex Jayhawks ha risposto alla grande, disputando la sua miglior stagione di sempre. Per adesso sta viaggiando a oltre 15 punti e 5 rimbalzi di media, con un incredibile 44% dalla linea dei tre punti. Ma i numeri non ne descrivono pienamente l’impatto. Se Irving è la stella e il punto di riferimento offensivo, Marcus è risultato spesso decisivo con quelle caratteristiche che sono perfette per la nuova NBA: un’ala capace di non andare sotto fisicamente anche contro i lunghi avversari e di colpire magnificamente con suo jump shot. La situazione salariale dei Celtics renderà davvero difficile per Danny Ainge trattenerlo, ma questi sono argomenti che a Boston interessano relativamente, tutti nella “Beantown” sono concentrati su questa stagione e sul raggiungimento di quegli ambiziosi traguardi fissati a inizio anno.
A Charlotte, oltre a Walker, c’è qualcun’altro che si sta mettendo in mostra: Jeremy Lamb. La sua storia è il manifesto delle promesse disattese. Nel 2011, al suo primo anno di college, Jeremy guidò Connecticut al titolo NCAA, ma il rendimento deludente nell’anno da sophomore lo fece scivolare ai margini della Lotteria, lui che iniziò quella stagione come uno dei migliori prospetti. Sam Presti scommise sul talento di Lamb, sulla sua possibilità di diventare gradualmente il complemento ideale di Russell Westbrook e Kevin Durant. Una vana illusione, Jeremy non raggiunse mai il livello sperato e così finì a Charlotte. Nel North Carolina ha trovato la situazione ideale per esprimersi. Se fare canestro non è mai stato un problema – gli istinti offensivi e il morbido tiro in sospensione sono sempre stati il suo punto di forza, e gli permettono di viaggiare a oltre 15 punti di media – quest’anno ha reso più sporadiche le amnesie che troppo spesso lo hanno limitato negli anni precedenti, ed è diventato un punto inamovibile del quintetto degli Hornets.
Attenzione, però, a prendere per oro colato i risultati ottenuti nel “contract year”. Le motivazioni che ogni giocatore ha in questo anno particolare non sempre si presentano con la stessa intensità negli anni successivi. Basta guardare, per fare solo alcuni esempi, cosa è successo a Evan Turner, Ryan Anderson oppure Chandler Parsons, tutti beneficiari di contratti molto remunerativi ma che, di colpo, si sono trasformati in spropositati a causa di un rendimento non in linea con lo stipendio.
Quindi, buona fortuna ai vari Walker, Vucevic, Morris e compagnia, ma anche alle franchigie che decideranno di investire su di loro.