Nei pronostici di inizio stagione nessuno avrebbe osato mettere i Los Angeles Clippers allo stesso livello dei Boston Celtics. Da una parte “Doc” Rivers, ex coach a Boston che aveva lasciato il New England per pilotare una squadra candidata al successo ad Ovest, ma che aveva fallito mentre uno dopo l’altro Chris Paul, Blake Griffin e DeAndre Jordan lasciavano L.A. Dall’altra Brad Stevens, coach rampante reduce da tre stagioni a dirigere roster falcidiati dagli infortuni che aveva portato ad oltre il 60% di vittorie complessive e a due finali di Conference.
Rivers, improvvisamente, si trovava al comando di una squadra sulla carta mediocre mentre Stevens con i rientri di Gordon Hayward e Kyrie Irving poteva sentir ruggire il motore del bolide che aveva sempre sognato. Le previsioni di ottobre erano fin troppo semplici e scontate: “orejas, música” e vetta della Eastern Conference per i Celtics, declino e caduta fuori dalla zona playoffs per i Clippers. Forse le partite NBA non saranno sempre interessanti, forse il numero dei tiri da tre è esagerato…ma è ancora il campionato più bello e imprevedibile: a metà stagione le previsioni sulle due squadre vanno riviste e riconsiderate. I Clippers…veleggiano intorno all’ottavo posto della Western e grazie all’apporto offensivo del trio Tobias Harris-Danilo Gallinari-Lou Williams hanno serie possibilità di qualificarsi per la post-season. I Celtics, con un bilancio vinte/perse vicino al 60%, occupano saldamente una deludente quinta piazza. Qualche ego frustrato, una discontinuità preoccupante e chiare difficoltà di “chimica” hanno alzato il livello di tensione all’interno del gruppo, come dimostrato dalla discussione tra Marcus Morris e Jaylen Brown nella trasferta dei Celtics a Miami.
Era già un po’ che quest’idea mi frullava in testa, ma non sembrava mai prendere una forma definita…finchè ho ripensato a “Doc” Rivers e alla sua gestione dei “Big Three” di Boston. In primo luogo l’approccio vincente, “non possiamo permetterci di aspettare un anno, dobbiamo vincere adesso”. E tanti piccoli tocchi di classe: l’uso della parola africana “Ubuntu” (“Io sono quello che sono anche grazie a te”) con tanto di ricerca imposta ai più giovani per cementare il gruppo…La mattina passata assieme a Kevin Garnett, Paul Pierce e Ray Allen in giro per la città su una “duck boat”, il veicolo anfibio usato dai Boston Red Sox nella parata di festeggiamento per il titolo pochi mesi prima…La concessione di “zone franche” in cui gli atleti potevano vestirsi come volevano, ascoltare la musica che più gli piaceva senza essere soggetti alle rigide regole di squadra. E cento altri piccoli accorgimenti a rendere meno impegnativa la vita di squadra per focalizzare gli sforzi sulla conquista del titolo. Quel gruppo, assemblato nel corso di un’estate, pochi mesi dopo alzò l’O’Brien Trophy mentre Kevin Garnett gridava “tutto è possibile”.
“Fast forward” ai giorni nostri, mentre a Boston gioca una squadra che potenzialmente è ad un livello non troppo distante di quella di 11 anni fa: al posto dei “Big Three” di allora troviamo Kyrie Irving, Al Horford e Gordon Hayward, mentre l’esperta panchina di Rivers oggi trova i suoi epigoni in Marcus Smart e nel trio di giovani stelle composto da Terry Rozier, Jaylen Brown e Jayson Tatum. I risultati però non sono all’altezza delle aspettative che la vagonata di talento prevedrebbe. Alcuni critici puntano il dito sulla porosità difensiva, altri parlano di discontinuità, qualcuno sottolinea la scarsa chimica evidenziata anche da malumori che finiscono per sfociare in discussioni durante le partite o in critiche ai compagni di fronte ai taccuini dei reporter. Anche evitando di scadere nel gossip, un dato è certo: nel suo progetto di integrazione tra i giovani protagonisti della cavalcata nei playoffs 2018 ed i veterani in rientro dagli infortuni, coach Brad Stevens non sembra trovare il bandolo della matassa.
“Doc” Rivers, per converso, nel momento più buio della sua esperienza ai Clippers – dopo esser stato esautorato dalla carica di general manager – sembra aver trovato nuova linfa nella gestione di un gruppo di atleti in cerca di rivalsa. Danilo Gallinari, lasciati alle spalle i numerosissimi infortuni, è tornato ai livelli raggiunti in maglia Denver e Tobias Harris sta mettendo assieme le migliori cifre in carriera. Lou Williams è sempre una spina nel fianco delle difese avversarie, Motrezl Harris è imprevedibilmente “esploso” come “two way player” di alto livello ed il cast di supporto continua a offrire prestazioni superiori alle attese. Potrebbe sembrare una serie di fortuite circostanze, se non conoscessimo le doti di motivatore di Rivers e la sua capacità di gestire al meglio i roster “veterani”.
Due allenatori che sembravano essere destinati a sorti praticamente opposte, ora stanno smentendo i pronostici. Se per “Doc” Rivers – nonostante le ultime cinque sconfitte in fila – il miele della rivincita è dolce, per Brad Stevens il fiele della delusione è amaro e soprattutto un’esperienza nuova per un palato abituato a vincere. Ma siamo solo a metà stagione, molte cose potrebbero cambiare.