Olimpiadi di Salt Lake City, è’ il 16 febbraio 2002. Sta per partire la finale dei 1000 metri di Short Track. La gara avrà un epilogo dei più spettacolari, assurdi e inaspettati della storia a “Cinque Cerchi”. La forza centrifuga e l’imperizia porteranno alla caduta, uno ad uno, degli altri quattro finalisti, e così sarà l’australiano Steven Bradbury a tagliare il traguardo per primo, lui che era desolatamente e irrimediabilmente ultimo solo pochi metri prima del traguardo. Ancora oggi il nome di Steven è ricordato come uno dei più improbabili Campioni Olimpici, simbolo di come la parola destino sia spesso decisiva nell’esistenza delle persone. Ma, avventurandosi nella vita di Bradbury, si scopre come perseveranza e lavoro siano altri due termini che gli si addicono perfettamente, per come è riuscito a riemergere da una serie interminabile di gravissimi infortuni che avevano messo a repentaglio non solo la carriera, ma anche la sua stessa vita.
Ma che c’entra un pattinatore australiano con la NBA? C’entra, perchè è australiano anche il protagonista della nostra storia, e perchè anche la sua storia ha un epilogo legato a doppio filo al caso o, più poeticamente, al destino.
Barclays Center, Brooklyn. E’ il 25 gennaio 2019 e va in scena il derby cittadino tra Brooklyn Nets e New York Knicks. A circa 3 minuti alla fine dell’incontro, Rondae Hollis – Jefferson si scontra con Noah Vonleh, riportando una brutta ferita che lo costringe ad abbandonare il campo e rinunciare ai due tiri liberi assegnati dai “grigi”. Il regolamento NBA prevede che in questi casi debba essere l’allenatore avversario a decidere il sostituto, e così Coach David Fizdale pesca il più improbabile del roster dei Nets: Mitchell Creek.
Chi?
La domanda se la deve essere posta lo stesso Fizdale, perché Mitchell (o semplicemente Mitch) Creek, la guardia di ventisei anni, originaria di Horsham in Australia, è un nome che neppure il più appassionato e sfegatato tifoso di Brooklyn conosce.
“Ero molto nervoso”, ammetterà Mitch, e infatti segnerà solo un libero sui due a disposizione. E che importa se coach Kenny Atkinson lo ha sostituito solo due secondi dopo! Si tratta del suo debutto nella NBA, la realizzazione del sogno di ogni bambino che si avvicina al basket, un obiettivo per ogni giocatore di basket del pianeta.
Un traguardo che Creek ha inseguito per anni, fin da quando appena diciottenne ha esordito nella NBL (la lega professionistica australiana) e che ha deciso deciso di perseguire concretamente questa estate, quando ha dovuto anche subire la causa intentata dagli Adelaide 36ers, la sua ex squadra.
Dall’Australia all’America. Un viaggio che ripercorre quello compiuto da un altro Mitch, il famoso “Crocodile” Dundee che, seppur nella finzione cinematografica, diventò un personaggio di culto degli anni 80.
Creek ha iniziato dalla gavetta, partecipando alla Summer League di Las Vegas, scommettendo sul training camp di Brooklyn e accettando, infine, la proposta dei Long Island Nets, la loro affiliata in G-League. Le solide prestazioni in G-League hanno convinto i Nets a proporgli un primo contratto “decadale”, aprendogli così le porte della vera NBA e costituendo l’anticamera di quella sera del 25 gennaio, quando Mitch si è alzato dalla panchina, ha “svestito” la tuta e si presentato in lunetta per il suo primo punto nella lega.
Con la scadenza del secondo “decadale”, la sua avventura sembra terminata ma il tweet pubblicato dopo l’esordio rende difficile scommettere contro di lui: “Never let anyone tell you you can’t do anything – dream big, work hard and love the process!“.
Sognare in grande e lavorare per raggiungere quanto desiderato.
Tutti nel profondo tifiamo per Mitch e la sua favola.