Siamo a febbraio. Sui giovani “rookies” incombe il terribile “Rookie Wall”, la soglia fatidica oltre la quale la fatica taglia inesorabilmente le gambe, e trasforma la favola dell’esordio della NBA in un autentico calvario caratterizzato dal serbatoio svuotato, da prestazioni incolore e da mugugni del pubblico.
Febbraio è anche il mese dell’All Star Weekend, che per le matricole significa “Rising Stars”, la partita disputata dai migliori primo e secondo anno suddivisi tra americani e “internationals”.
Rising Stars
A Charlotte è andato in scena l’ormai classica sfida tra Stati Uniti e Resto del Mondo. L’esibizione – perché è difficile parlare di partita mancando totalmente ogni sforzo difensivo – è stato un modo per ammirare alcuni dei futuri protagonisti della NBA nei prossimi dieci anni.
Erano presenti tutti i migliori rookies, da Luka Doncic a DeAndre Ayton, da Marvin Bagley a Jaren Jackson Jr, da Kevin Knox a Trae Young.
Se Doncic, Jackson e Ayton non sono apparsi proprio nel loro habitat naturale, e Bagley ha confermato le sue doti atletiche in un basket decisamente anarchico, chi ha beneficiato al massimo dell’atmosfera rilassata dell’incontro è stato Trae Young. Lo stile creativo della guardia da Oklahoma è perfetto per questo tipo di partite, alcune sue iniziative in palleggio (il tunnel ai malcapitati Josh Okogie e Ayton su tutte) sono state accompagnate dalla meraviglia del pubblico e, ancor più importate, dall’apprezzamento dei compagni. I 25 punti, 10 assists sono un’ ulteriore iniezione di autostima per Trae, ormai definitivamente a suo agio nella NBA come dimostrano gli ultimi due mesi di Regular Season.
Lo stopper di Minnesota
Continuiamo a parlare del Rising Stars. Per le matricole l’appuntamento di Charlotte è stato il primo traguardo intermedio della loro stagione d’esordio, il momento per verificare quanto il loro rendimento sia considerato dagli addetti ai lavori, il riconoscimento per le loro prestazioni, e l’anticipo dei premi post-stagionali.
Per tutto questo, la convocazione di Josh Okogie assume un significato particolare, perché il suo non era certo un nome atteso a questo livello. Selezionato da Minnesota con la scelta numero 20 dello scorso Draft, ha impiegato pochissimo tempo per farsi amare da Tom Thibodeau. Gli indizi per un repentino colpo di fulmine c’erano tutti: Coach “Thibo” è la miglior mente difensiva dai tempi di Dick Harter; la matricola da Georgia Tech era uno dei migliori difensori della ACC, dotato di qualità atletiche e fisiche non comuni.
Dopo un ottimo training camp, Josh è entrato subito nella rotazione di una squadra che lo scorso anno si è qualificata per i Playoffs, e quando Jimmy Butler ha fatto le valigie, è entrato stabilmente in quintetto. La sua è una stagione solidissima, contraddistinta dalla precisione dall’arco e dal continuo e competente impegno difensivo. Se n’è accorto anche James Harden quando è arrivato qualche giorno fa a Minneapolis. Josh ha difeso alla grande sul MVP della NBA, costringendolo a sudare le proverbiali sette camice per segnare. Si, alcuni canestri di Harden sono stati inebrianti, ma Okogie è stato eccezionale per tutta la partita, muovendo i piedi benissimo sugli isolamenti del “Barba”, sporcandogli il palleggio, rubando un paio di volte la palla, e stoppandolo in modo entusiasmante sul suo consueto “step back”. Un’azione che ha fatto scatenare il pubblico, e fatto da detonatore per la sorprendente vittoria dei Wolves sui lanciatissimi Rockets.
Non sarà mai una stella, ma Okogie sarà un pezzo importante per i “Lupi” del futuro.
Starring in Memphis
Perchè non adattare il titolo di una nota canzone portata al successo da Cher, per parlare di Jaren Jackson Jr.
Con la cessione di Marc Gasol a Memphis hanno voltato definitivamente pagina. Il messaggio lanciato dalla dirigenza dei Grizzlies è chiaro: Jaren Jackson Jr sarà il prossimo uomo franchigia e dalle sue mani passerà il futuro della squadra del Tennessee.
Una promozione che ha trovato subito conferma nelle parole di Kevin Garnett, arrivato nella città di Elvis per allenarsi con lui. “E’ il futuro. Mi rivedo molto in lui”. Poche le parole proferite da KG, ma pesanti come macigni perché se una delle maggiori icone del basket NBA degli ultimi venti anni si espone così, le aspettative crescono a dismisura, e con esse anche la pressione sul giovane Jaren.
Ma il talento a “JJJ” non manca di certo. Il fisico slanciato, la coordinazione, la rapidità e l’ elevazione lo rendono già adesso un difensore di altissimo livello. Le sue mani, “educate” anche oltre la linea da tre punti, sono perfette per la NBA attuale. Le cifre in stagione sono molto interessanti (13 punti, quasi 5 rimbalzi, con un buonissimo 36% dall’arco dei tre punti), ma non raccontano appieno le sue enormi qualità perché spesso il suo è stato un ruolo da comprimario nella squadra di Gasol e Mike Conley.
Il finale di stagione –infortuni permettendo- sarà il preludio alla sua prossima sfida, diventare il punto di riferimento di Memphis ed emergere come uno dei giocatori più importanti della NBA del prossimo futuro.
Top Five
1- Luka Doncic (Dallas Mavericks): non è arrivata la convocazione per l’All Star Game, ma è comunque uno dei migliori giocatori della NBA;
2- DeAndre Ayton (Phoenix Suns): solidi e soliti 15 punti e 10 rimbalzi per dei deludenti Suns;
3- Jaren Jackson Jr (Memphis Grizzlies): è arrivato il suo momento con la cessioen di Gasol;
4- Trae Young (Atlanta): partito molto male, sta trovando ritmo e continuità per dei migliorati Hawks;
5- Shai Gilgeous-Alexander (L.A. Clippers): play titolare dei sorprendenti Clippers, potrebbe essere l’unico a fare i Playoffs.