Ho scritto una sorta di necrologio tecnico/tattico quale eredità delle Final Eight di Firenze; allenatori in balia dei flutti emotivi del match, uniformati giochi di “sistema” e identità latenti. Poi però mi metto nei panni dei nuovi timonieri 2.0, quelli costantemente costretti a danzare sul ciglio del burrone, con società fragili, contratti scritto con l’inchiostro (poco) simpatico ma soprattutto un mercato che scombina la “classe” ogni mese. Vi ricordate ai tempi della scuola le difficoltà dell’insegnante con assenze plurime nei periodi influenzali? Ri-allineare tutti dal punto di vista didattico era un’impresa che richiedeva mesi. Ecco, per un allenatore dell’era moderna è qualcosa di simile.
Sono convinto che il bagaglio tecnico di un allenatore italiano sia fra i più virtuosi del mondo; gli strumenti e la capillare conoscenza della materia si respirano, anche se spesso mortificata da indottrinamenti federali. Il problema è che l’allenatore costruisce in estate una “classe”, un ingranaggio con elementi pensati per un tipo di gioco, una materia grezza da forgiare in ore e ore di palestra, ma anche in qualche cena goliardica, in momenti di vita vissuta assieme. Proprio lì si captano sfumature che altrimenti sarebbe impossibile vedere, proprio lì si studia il linguaggio da adoperare sui 28 metri di parquet per far arrivare il messaggio tecnico. Esattamente come l’evoluzione tattica, i famigerati “schemi” da far metabolizzare al gruppo (e i “ritardati” ci sono, eccome), dopo settimane di ripetute e di continue limature per renderli meccanismi perfetti.
Immaginate quindi tutta una serie infinita di variabili, immerse nell’isterico mercato attuale. Il tempo di imparare i nomi propri dei tuoi uomini, ed ecco che si rivoluziona tutto in nome del “panico da risultato”. Cambiano i giocatori, le psicologie, i recepimenti tecnico/tattici in palestra e l’allenatore, come l’insegnante di cui sopra, a dover ricominciare tutto daccapo. Allora ecco che l’evoluzione ( o involuzione) della pallacanestro ti viene incontro, preconfeziona sistemi liofilizzati (validi anche per quadrupedi) da deglutire in qualche giorno di allenamento, fatti di pick and roll, isolamenti e qualche movimento sempre rigorosamente sul quarto di campo. Così si affievolisce l’incidenza dell’allenatore in una partita di basket, aumentando a dismisura quella dei protagonisti, magari supportati da una forte contratto. Il coach furbo diventa un buon selezionatore, si fa voler bene da chi può salvare o meno l’anno professionale, crea le condizioni per non tirare la corda inserendo sistemi di gioco da playground…ma questo non è ALLENARE (o non solo questo).
Dobbiamo quindi per forza di cose essere equidistanti dal problema, ribadendo con forza un cambiamento nel mercato così come attualmente è studiato. Tornare ad una finestra di mercato, ridurre il numero dei possibili cambi, riporterebbe ad un ruolo consono il timoniere, ripristino gerarchie intellettuali corrette, evitando il “bullismo sportivo” di atleti viziati.
Raffaele Baldini