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      Superbasket intervista Federico Gallinari: “Che emozione giocare al college: voglio vincere qualcosa con Rochester”

      Con Federico, ala dei Rochester Warriors (NAIA), abbiamo parlato della sua stagione cestistica, del suo percorso e del suo futuro

      Fabrizio Fasanella by Fabrizio Fasanella
      27 Marzo 2019
      in Estero, NCAA, Serie A, UOMINI
      0
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      Federico Gallinari è uno dei giovani talenti italiani ad aver intrapreso la strada del college basketball statunitense. Figlio (e fratello) d’arte, il 21enne lombardo milita da due anni nella squadra di pallacanestro del Rochester College, l’istituto universitario dell’omonimo sobborgo di Detroit situato nella zona dei Grandi Laghi.

      Dopo un anno da Redshirt senza esordire ufficialmente sul parquet, Federico ha appena chiuso la sua prima stagione all’interno delle rotazioni dei Rochester Warriors. Ma la sua esperienza a stelle e strisce è cominciata prima del suo sbarco in Michigan, dato che nel 2016-17 ha frequentato la Sunrise Christian Academy, una “Prep School” nella città di Wichita, nel Kansas.

      Tra lezioni, allenamenti, esami e partite, Gallinari è un ragazzo che lavora sodo e che sogna in grande non solo nel basket, ma anche nello studio. Sulla lista dei suoi obiettivi, infatti, c’è la “double major” in Sports Management and Accounting. Con Federico, attualmente negli USA per finire le lezioni e gli esami dell’anno accademico 2018-19, abbiamo parlato della sua stagione cestistica, del suo percorso e del suo futuro.

       

      Com’è stata questa tua prima stagione sui campi dei college?

      “Considerando che l’anno scorso ho fatto Redshirt e quindi non ho giocato, è stata la prima stagione dopo un anno ed ero pronto a scendere in campo. Avevamo probabilmente una delle squadre più forti nella storia del nostro college. All’inizio ci abbiamo messo un po’ a trovare la chimica, ma dopo un po’ abbiamo ingranato: stavamo giocando bene e io avevo i miei minuti. Siamo arrivati quinti ed eravamo abbondantemente in zona playoff”.

       

      Poi cos’è successo?

      “A quel punto, purtroppo, abbiamo perso la prima fuori casa contro Siena Heights, ed essendo a partita secca siamo usciti subito dalla postseason”.

       

      È stata una brutta botta o l’avete presa con filosofia?

      “In quella partita siamo spesso stati sopra, ma alla fine abbiamo ceduto un po’. Siamo rimasti delusi perché eravamo una squadra che puntava in alto a livello NAIA (il campionato collegiale in cui milita Rochester, ndr). Nella nostra conference, però, ci sono alcuni dei collettivi più forti in circolazione: ogni partita è una storia a sé e puoi farti sorprendere dalla squadra particolarmente in giornata. È stato il momento peggiore di questa stagione, anche perché c’erano dei senior che si sono allenati con me per due anni e che hanno perso così la loro ultima partita al college. Non è stato facile per loro, ma nemmeno per me che difficilmente li rivedrò dopo questa annata”.

      Un momento indimenticabile di questa stagione?

      “Il momento migliore è stato il mio esordio. Dopo un anno che non giochi, l’allenatore ti chiama, ti siedi davanti al tavolo ed entri in campo. Lì inizi a pensare ‘wow, questa è la mia prima partita di college’: è stato molto bello. All’inizio mi tremava la mano, però ho fatto 14 punti e abbiamo vinto: direi che andata bene. Tiravo tutto quello che toccavo. Un altro momento da ricordare è stato quando sono partito in quintetto per la prima volta”.

       

      Qual è stata, secondo te, la tua miglior prestazione stagionale?

      “La più importante è stata contro Madonna. Arrivavamo da un periodo in cui non segnavamo veramente mai, ma da parte mia è venuta fuori una prestazione incredibile perché tiravo da tre e non sbagliavo quasi mai. Se non ricordo male dovrei aver messo 4 bombe: ero entrato nella mia zona mettendo i miei canestri. Ho avuto un impatto importante sulla vittoria e in spogliatoio eravamo molto carichi”.

       

      Andiamo un po’ indietro nel tempo: nel 2015-16 hai giocato in Serie B a Oleggio e hai fatto la maturità, poi sei volato negli USA alla Sunrise. Come mai non hai scelto di intraprendere subito l’esperienza al college?

      “La Sunrise è una Prep School che sostanzialmente ti prepara al college a livello accademico e a livello di basket: giochi, ti alleni tre volte al giorno e partecipi a questi tornei dove vengono gli allenatori dei college a vederti. Quindi ho preferito questo anno di transizione e di preparazione, anche perché dovevo abituarmi a studiare in inglese”.

       

      Cosa ti ha portato a Rochester?

      “Dopo il primo anno alla Sunrise, nella offseason del 2017 sono andato a Denver per stare un po’ con mio fratello che ai tempi giocava in Colorado. Lì ho disputato una partitella con dei ragazzi, uno di loro mi ha notato e mi ha messo in contatto con Rochester. Poi mi hanno invitato al campus e mi hanno offerto la borsa di studio. Il mio obiettivo era appunto un college accademicamente e cestisticamente buono”.

       

      Le differenze maggiori che hai trovato tra l’Italia e gli Stati Uniti, nel basket ma anche nella vita di tutti i giorni.

      “Il primo impatto tosto è stato il cibo (ride, ndr). Loro hanno la loro mensa, però chiaramente il cibo che cucinano la mamma e la nonna in Italia non si può imitare. È molto diverso anche il modo di vivere il college: si passa tanto tempo assieme agli altri, ci sono i dormitori e tante attività nell’istituto. Nelle università italiane c’è una concezione diversa: vai a lezione, studi e poi torni a casa. Inoltre io arrivo da Milano, quindi l’impatto con questa piccola città è stato inizialmente strano. Qui non esci alle 6 per fare aperitivo, perché in giro non c’è nessuno. Però questo è uno stile di vita più adatto a concentrarmi sul basket e sullo studio. Anche gli esami sono diversi, perché sono tutti a risposta multipla”.

       

      La tua prima stagione a Rochester è stata da Redshirt e quindi non sei sceso in campo: è un’esperienza che molti giovani giocatori hanno vissuto, ma non deve essere facile allenarsi duramente e non poter giocare durante le partite. Come l’hai vissuta?

      “L’anno da Redshirt tocca a tante matricole perché aiuta a entrare nel sistema di gioco della squadra e abitua ai ritmi della scuola. Non è un anno facile: fai tutto quello che fanno gli altri ma non puoi entrare in campo. La gente al palazzetto poi magari si chiede: ‘ma perché questi ragazzi che fanno il riscaldamento poi non giocano?’. Insomma, allenarsi tutti i giorni e non poter giocare non è semplice. In tutto ciò mi ha aiutato Logan, il mio compagno di stanza che era Redshirt come me: ci siamo sostenuti a vicenda”.

       

      Sei al secondo anno di college, il tuo obiettivo è arrivare fino in fondo? Anche se dovesse arrivarti una proposta per giocare a livello professionistico?

      “Il mio obiettivo è finire il college anche per avere qualcosa in mano che mi potrà servire nella carriera post-cestistica. Se arrivasse una proposta da professionista ci sarebbero mille cose da valutare, quindi al momento non saprei. Ma ora il piano A è finire la scuola e vincere qualcosa con Rochester. Le sensazioni per l’anno prossimo sono buone: saremo molto più uniti anche se, forse, il talento sarà un po’ meno rispetto a quest’anno”.

       

      Nel frattempo c’è Danilo che a Los Angeles sta giocando la sua miglior stagione in carriera.

      “Sta facendo una stagione clamorosa. Io vivo assieme a lui tutta l’estate, tutto quello che fa lui lo faccio anche io. Quindi vedo quando migliora e noto la sua condizione mentale. Era già pronto da quest’estate e ho avuto la conferma guardando la partita che ha fatto in Africa con la NBA, dove ha vinto l’MVP. Sta giocando a livelli altissimi e i Clippers stanno viaggiando alla grande dopo la trade, in più c’è Lou Williams che sta aiutando molto dalla panchina. Danilo è diventato più leader, parla con tutti ed è un punto di riferimento: è la posizione in cui si trova meglio”.

       

      A livello tecnico e a livello mentale, quali “consigli cestistici” ti dà tuo fratello?

      “In generale mi dice sempre di rimanere concentrato sulla scuola, sul basket e sulle cose importanti. A livello cestistico mi dice di usare l’intelligenza, di essere furbo sul campo e di arrivare un secondo prima degli altri con la testa, che poi col corpo ci arrivi senza problemi”.

       

      Dove ti vedi tra cinque anni?

      “Il sogno è vedermi in una squadra professionistica, magari anche in Europa o in un team in cui posso avere dei minuti. Non escludo nulla”.

       

      Programmi per l’estate?

      “Passerò un po’ di tempo con mio fratello, sia in America sia in giro per il mondo durante nostri viaggi. Poi bisogna ricominciare a lavorare e ad allenarsi in vista della ripresa degli allenamenti ad agosto. Tra palestra, campi da basket e playground milanesi sarà anche un’estate di lavoro”

       

      C’è un particolare aspetto del gioco su cui ti soffermerai nei mesi estivi?

      “Sicuramente la velocità di piedi, in quanto mi permette di difendere sulle guardie e sui lunghi. Per un giocatore alto come me è importante essere versatile anche in difesa. Poi continuerò a lavorare sul tiro, anche se è una delle cose che so fare meglio, e sul palleggio”.

       

      LA SCHEDA – Federico Gallinari

      Età: 21 (9 settembre 1997)

      Altezza: 200 cm

      Ruolo: ala piccola/ala grande

      Nazionalità: italiana

      Giovanili: Assigeco Casalpusterlengo

      Carriera:

      • 2015-2016: Oleggio Magic Basket (Serie B)
      • 2016-2017: Sunrise Basketball (Prep school)
      • 2017-oggi: Rochester Warriors (college)
      Tags: College BasketballFederico GallinariRochester CollegeRochester WarriorsSuperbasketUSA
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