Una partita che è (quasi) l’emblema di una stagione. La Fortitudo Bologna torna in Serie A a distanza di quasi 10 anni dall’ultimo match disputato nel massimo campionato. L’esplosione di festa del PalaDozza suona quasi come una liberazione, perché quel traguardo, anche quando sembrava vicino, si è sempre allontanato. Anche stavolta la sofferenza c’è stata, con avversarie agguerrite e mai dome, proprio come Ferrara, che fino all’ultima frazione ha provato a rovinare la festa. Ma questa Fortitudo era una squadra in missione e nessuno poteva fermarla per cancellare 10 anni di sofferenze.
LA STORIA (QUASI) INFINITA – Sono, infatti, passati più di 3600 giorni da quel triste 10 maggio 2009, giorno in cui, al PalaScapriano di Teramo, la Fortitudo lasciava mestamente la Serie A. Di quella partita si sono ricordate spesso le lacrime di capitan Mancinelli, ma soprattutto lo sconforto di una tifoseria che, forse, nemmeno immaginava quale destino la attendesse. Gli anni successivi, infatti, per la Effe sono stati un’altalena di emozioni: dalla promozione ottenuta in gara-5 nel 2010 a Forlì fino alla mannaiata della Com.Tec., preludio alla radiazione. Ma dopo così tante vicissitudini, squadre non riconosciute dai tifosi per la mancanza del famoso codice 00103 (la Fossa boicottò per anni le nuove Fortitudo che non ritenevano quella originale) e tanti bocconi amari ingeriti, l’Aquila è tornata a spiccare il volo: dal 2013, quella che veniva definita la “vera Aquila”, ha iniziato la risalita, tornando in A2 nel 2015 e sfiorando più volte quella promozione che, da oggi, non è più un sogno o un obiettivo ma soltanto realtà.
UNA STAGIONE PERFETTA – La cavalcata della Effe è ai limiti della perfezione: dove vittorie consecutive a inizio campionato, poi la sconfitta con la Bakery, quella che probabilmente ha trasformato Bologna nello schiacciasassi che è stato. Da quel match di novembre al PalaBakery, Mancinelli e compagni hanno messo in fila altre otto vittorie consecutive, trovandosi al comando in solitaria con 17 successi in 18 incontri. Le uniche altre due squadre capaci di batterla sono state Udine e, soprattutto, Montegranaro in una partita epica che, in quel momento, sembrava riaprire ogni discorso. È qui che Bologna ha cambiato definitivamente marcia, giocando una Coppa Italia eccellente nonostante la sconfitta in finale (ma bisogna sempre ricordare le difficoltà per una squadra con quell’età media nel disputare tre incontri in altrettanti giorni) e soprattutto alleggerendo la pressione a suon di vittorie. Fino al 91-79 di oggi.
LA SQUADRA PIÙ FORTE – Sulla carta era la formazione da battere sin dall’estate. Perché Bologna, quest’anno più che mai, voleva essere certa di centrare il bersaglio. E alle conferme di Mancinelli, Rosselli (sempre più uomo delle promozioni) e Cinciarini sono seguiti acquisti come quelli di Fantinelli, Hasbrouck e soprattutto Maarty Leunen, un autentico crack per la categoria. Senza dimenticare poi Pini e Benevelli, o l’innesto in corsa di Delfino. Un’orchestra piena di violini d’alto livello guidata da un direttore magistrale, un Antimo Martino giunto, forse, alla definitiva consacrazione. Il merito, sicuramente, è anche il suo per aver costruito una squadra vera, con un’identità precisa e capace, con la difesa, di diventare incontenibile, in contropiede, transizione o gioco schierato che sia, piazzando break spaccaossa per chiunque. Allo stesso tempo, però, è stato anche il trascinatore (i tifosi non si scorderanno le sue arringhe a tutto il popolo biancoblù) diventando beniamino e idolo per essere riuscito a riportare la Effe sul suo palcoscenico.
LA COMMOZIONE E LA FESTA – Quanto valga questa promozione per la Fortitudo lo testimoniano l’urlo del PalaDozza e, soprattutto, le lacrime dei protagonisti. Quelle di Martino che, ai microfoni di Sportitalia, mostra tutta la sua commozione; quelle di Giovanni Pini, infortunatosi proprio oggi prima dell’intervallo e impossibilitato a dare il suo contributo nel momento più importante; ma soprattutto quelle di Matteo Fantinelli, l’uomo che, insieme a Capitan Mancinelli, tornato a Bologna con una sola missione, ha vissuto quel drammatico momento di dieci anni fa. In ultimo, ma di sicuro non per importanza, il PalaDozza. Il Madison è stato un fattore come in tutte le stagioni, con il suo calore, quel saper incutere timore negli avversari, e con una curva tra le migliori d’Europa. Che parta la festa a Bologna, adesso Basket City è tornata davvero!
Carlo Maria Audino