I Los Angeles Lakers hanno “ritirato” LeBron James dalla stagione 2018-2019. A dire il vero gli addetti ai lavori aspettavano l’annuncio da un momento all’altro, considerando che non aveva alcun senso rischiare un infortunio al trentaquattrenne campione in partite senza alcun significato. Il campionato infatti era stato ufficialmente messo in naftalina il 22 marzo, con la sconfitta patita a Brooklyn che aveva sancito la sesta esclusione consecutiva dai playoffs per la franchigia californiana, oltre che l’interruzione della striscia di otto apparizioni consecutive alle Finali (e 13 ai playoffs) del campione.
Ovviamente ben più nobile era l’obiettivo del front office dei Lakers che dall’arrivo della coppia Magic Johnson/Rob Pelinka nel Febbraio 2017 aveva dato l’impressione di poter finalmente riportare la squadra ad un ruolo di preminenza. Certo, la cessione di D’Angelo Russell e l’assoluto disinteresse al rinnovo di contratto a Julius Randle non erano stati digeriti facilmente da coach Luke Walton, ma tutti avevano convenuto che l’innesto di James sarebbe stato sufficiente a riportare i giallo-viola ai playoffs e soprattutto a far “crescere” giovani come Brandon Ingram, Kyle Kuzma e Lonzo Ball. Le cose sono purtroppo andate ben diversamente.
Il 20 settembre “Magic” dichiara la sua fiducia in Walton: “Luke non deve preoccuparsi per un’eventuale partenza lenta”. Alla seconda partita di campionato lo sputo di Rajon Rondo a Chris Paul e l’intervento scriteriato di Brandon Ingram, Rondo viene sospeso per tre partite, Ingram per quattro: nemmeno 100 minuti di stagione, e tutto è già in salita. Dopo la quinta sconfitta (due vittorie) Johnson indice un incontro con Walton in cui esprime delusione e richiede migliori risultati, di fatto contraddicendo quanto dichiarato ai giornalisti a settembre.
La situazione sembra migliorare ed il giorno di Natale i Lakers superando Golden State per 127 a 101 raggiungono la ventesima vittoria (in 34 gare). Purtroppo LeBron James in quella partita soffre un infortunio all’inguine che lo costringe allo stop per cinque settimane…ed in sua assenza la squadra si inceppa. Quando il campione rientra il meccanismo sembra essersi rotto e la querelle sullo scambio per Anthony Davis getta ulteriore benzina sul fuoco. Una vittoria a Boston sembra ridare sollievo e “Magic” dichiara: “Mi incontrerò con la squadra a Philadelphia, abbraccerò i giocatori uno per uno e gli dirò di concentrarsi sul nostro obiettivo, che rimane quello dei playoffs”. Il giorno dopo, prima della gara coi 76ers, Johnson dice che i media dovrebbero smettere di trattare i Lakers come dei bambini…magari smettendo di abbracciarli? Philadelphia vince 143 a 120.
Ingram, Ball e Kuzma sembrano demotivati dalle voci che lo vedono prossimi alla cessione e dopo l’ennesimo rovescio (ironia vuole a New Orleans, la “casa” di Anthony Davis), in una giornata “libera” a Memphis, James indice un “team meeting” nel quale afferma che non vuole continuare a perdere perché non è abituato alla sconfitta. L’incontro gli si ritorce contro quando diversi compagni di squadra criticano il suo atteggiamento ed il suo “body language”. LeBron si scusa e promette di impegnarsi di più.
Nel frattempo, per creare spazio ad eventuali firme di atleti “tagliati” alla deadline, Johnson ha praticamente regalato Iviča Zubac ai “cugini” di sponda Clippers: il serbo sta crescendo ed i suoi 9 punti e 7 rimbalzi di media si dimostreranno di grande aiuto a Gallinari e compagni per agganciare i playoffs. Per i Lakers, invece, a chiudere definitivamente la porta per la post-season arrivano gli infortuni a Ingram e Kuzma che, con Ball già fuori uso, risultano determinanti: dal 20 vinte e 14 perse del giorno di Natale si arriva a fine marzo con un parziale di 10 vittorie e 28 sconfitte…e è in quel momento che la franchigia californiana decide di preservare il suo pezzo pregiato dai pericoli della regular season.
Le cause del disastro? Sicuramente molteplici, ma le più evidenti sono gli errori commessi dalla coppia Johnson/Pelinka, che oltre alla scriteriata cessione di Zubac hanno inviato messaggi contrastanti a coach e squadra, di fatto togliendo loro sicurezza e minando la motivazione. Oltre a ciò le difficoltà di crescita del nucleo di giovani, i problemi di gestione di tante (troppe?) “teste matte” (dal summenzionato Rondo a Michael Beasley, da Lance Stephenson a JaVale McGee)…ma anche e soprattutto l’incapacità di LeBron James di fare da catalizzatore, di unire tutti quanti attorno al suo indiscusso talento ed alla sua preziosa esperienza.
Per la prima volta “il Re” ha sperimentato gli effetti negativi del “gap generazionale” con i compagni più giovani, non venendo mai completamente accettato. Le sue critiche ai difetti degli altri Lakers, l’entusiasmo per l’eventuale arrivo di Anthony Davis (che implicava la partenza dei suoi compagni) hanno scavato un solco che difficilmente potrà essere rimarginato. Ecco perché con ogni probabilità l’estate porterà molti cambiamenti a Los Angeles…e qualche flebile voce dice che anche il nome del campione da Akron potrebbe essere messo sul tavolo delle trattative.