Quando è arrivato a Sout Beach, Chris era un cinque volte All-Star. Atletismo sensazionale e grande presenza a rimbalzo (nonostante pagasse parecchi chilogrammi agli altri lunghi NBA), era diventato in breve tempo una macchina da doppie-doppie. Non solo: aveva raccolto il pesante testimone da Vince Carter come uomo-franchigia dei Toronto Raptors. Il front-office canadese non era mai riuscito a costruirgli attorno una squadra competitiva, così ‘CB4’, stanco di fermarsi al primo turno di playoff, aveva optato per un doloroso addio, ufficializzato nelle vesti di miglior realizzatore (poi superato da Demar DeRozan, rimbalzista e stoppatore nella storia dei Raptors.
Nonostante il nuovo numero di maglia, a Miami Chris non è più il primo della fila. Unirsi a James e Wade comporta maggiori possibilità di vincere, ma anche una rinuncia alla gloria individuale tutt’altro che comune, nella lega delle stelle. Dopo la finale persa contro i Dallas Mavericks, sulla squadra più odiata d’America si abbatte una pioggia di critiche; molte sono rivolte a LeBron, apparso decisamente sottotono nel momento più importante, altre riguardano proprio Bosh, ritenuto da qualcuno non all’altezza, se non addirittura ‘soft’ (anche per via di una personalità e di uno stile lontani dal tipico ‘machismo’ NBA). Le risposte arrivano nella stagione successiva, quella accorciata dal lockout. Gli Heat non solo vincono il titolo, ma nel farlo avviano una grande rivoluzione.

Prima del 2012, nessuno aveva conquistato il trofeo giocando senza un vero centro. Don Nelson era stato un pioniere dello ‘small ball’ con Milwaukee e l’aveva riportato in auge all’epoca dei ‘Run TMC’, Mike D’Antoni aveva entusiasmato con i Suns del ‘7 seconds or less’, ma nessuno dei due si era minimamente avvicinato al traguardo. Se nel 2011, per contrastare Tyson Chandler, gli Heat si presentavano con Joel Anthony in quintetto, nell’anno del riscatto Erik Spoelstra strappa una pagina dal manuale dei maestri. In gara-1 del secondo turno playoff, Bosh si infortuna agli addominali. Miami va sotto 2-1 contro gli arrembanti Indiana Pacers di Paul George e Roy Hibbert, e Dwyane Wade litiga in mondovisione con l’allenatore; è il momento più difficile della stagione. Per rimpiazzare Bosh, LeBron viene schierato da ala grande, con Shane Battier nel ruolo di ‘tre’ e Ronny Turiaf sotto i tabelloni. Gli Heat ribaltano la serie, guadagnandosi un gustoso rendez-vous con i Boston Celtics. Per Spoelstra, l’unico modo per non rovinare gli equilibri è far giocare il rientrante Bosh da ‘centro atipico’. Chris risponde ancora una volta “presente”, e Miami trova l’assetto definitivo per la corsa al titolo; Celtics sconfitti in gara-7 (anche grazie a due pesantissime triple di Bosh nel finale), 4-1 sugli Oklahoma City Thunder e doccia di champagne. Le giocate decisive del 2013 e il secondo titolo NBA sono la consacrazione della sua carriera. L’anno dopo, gli Spurs si prendono la rivincita giocando una pallacanestro favolosa. Gli Heat non possono che arrendersi, e su quell’epoca gloriosa cala il sipario.
Con l’addio di LeBron, la franchigia sembra destinata alla ricostruzione. Sebbene le offerte non manchino (con gli Houston Rockets in prima fila), Bosh decide di rimanere nella città che gli ha dato e a cui ha dato tanto. D-Wade, sfiancato dai problemi fisici, inizia la sua fase calante, per cui ‘CB1’ diventa il go-to-guy, il punto di riferimento. Le sue cifre si riavvicinano a quelle di Toronto (21.1 punti e 7 rimbalzi di media), e viene regolarmente convocato per l’All-Star Game 2015. Dopo la partita, torna in Florida per sottoporsi a delle visite mediche, le quali rivelano la presenza di coaguli di sangue nei polmoni. Bosh è costretto a interrompere immediatamente la stagione. Oltre a precludere agli Heat la qualificazione ai playoff, il problema rischia di compromettere la carriera del giocatore. Invece Chris lotta, e riesce a tornare in tempo per l’inizio della regular season 2015/16. In campo è il solito Bosh, che diventa All-Star per l’undicesima volta consecutiva con la chiamata alla manifestazione di Toronto, la città in cui tutto era cominciato. I problemi di salute, però, prendono di nuovo il sopravvento.; i coaguli sono ancora lì, e i medici decidono di fermarlo una volta per tutte. Le speranze di un nuovo rientro si infrangono, esame dopo esame. Bosh non smette di crederci, si allena duramente e si scontra più volte con lo staff per tornare a giocare, ma è tutto inutile. Nel frattempo, la NBA entra in una nuova era. Miami perde anche Wade e sprofonda nella mediocrità, mentre i Golden State Warriors dominano, innalzando ulteriormente l’asticella posizionata dagli Heat dei ‘Big Three’; nessun grande centro e, soprattutto, un gruppo di stelle pronte a sacrificare le cifre individuali per le necessità del collettivo. L’identikit dei vincenti. L’identikit di Chris Bosh.