Siamo sinceri: a inizio campionato nessuno si sarebbe aspettato di vedere i Los Angeles Clippers ai playoffs. Dopo gli addii a Chris Paul, Blake Griffin e DeAndre Jordan ed il trionfale arrivo di LeBron James in città, neppure il più convinto tifoso dei Velieri avrebbe giocato qualche dollaro sul fatto che i propri beniamini potessero sopravanzare i “cugini”. Quando poi Lawrence Frank e Jerry West si sono “sbarazzati” di Tobias Harris accogliendo Landry Shamet, Shai Gilgeous-Alexander e Ivica Zubac, tutti abbiamo pensato: “se ne va il miglior realizzatore e arrivano tre giovani? Siamo in modalità ricostruzione”.
Ma avevamo evidentemente fatto i conti senza “Doc” Rivers, Danilo Gallinari e Lou Williams. Il primo, liberato finalmente dai compiti manageriali (che a dire il vero non ha assolto nel migliore dei modi) ha potuto mettere tutto il suo talento al servizio dello spogliatoio, il secondo sembra aver finalmente trovato il modo per fare il leader di una squadra NBA, il terzo ha accettato un ruolo da “arma segreta” in uscita dalla panchina fino a candidarsi per il premio come Miglior Sesto Uomo della stagione.
Gallinari, una volta tornato (come ai tempi di Denver) al gioco che sembra amare, quello di attaccante con licenza di costruire, si è erto a trascinatore del gruppo e, con quasi 20 punti di media e oltre il 40% nel tiro dalla distanza, ha guidato la “first unit” con continuità; Williams ha raccolto il testimone della staffetta ideale spingendo la “second unit” a medie di 20 punti e 5 assist ad allacciata di scarpe…un trionfo per Rivers che ha saputo interpretare le qualità dei suoi assi nel modo migliore e soprattutto è riuscito a convincerli che nei nuovi ruoli avrebbero (ri) assaporato il successo. I tre “segreti di Pulcinella” dell’imprevisto e imprevedibile exploit sono indubbiamente loro, con l’aggiunta di un solidissimo Montrezl Harrell che, lasciati a Houston certi comportamenti sopra le righe, alla corte del “Doc” sembra aver trovato la sua dimensione giusta, quella dell’uomo di fatica che sa farsi valere vicino a canestro. E così si è passati dalle terribili profezie del pre-campionato (Charles Barkley aveva pronosticato solo 33 vittorie) ai 47 successi, un bilancio superiore alle più rosee aspettative.
Davvero impensabile per una franchigia che nelle ultime due “trade deadline” ha ceduto il suo miglior realizzatore (Griffin nel gennaio 2018, Harris nel febbraio 2019). Ma proprio le due cessioni sono alla base del rinnovato entusiasmo in casa Clippers. Acquisiti giovani interessanti e scelte future, riguadagnata una buona flessibilità salariale, il front office può guardare al futuro con concrete speranze di una ricostruzione in tempi tutto sommato stretti, soprattutto se nella prossima estate a West e Frank dovesse riuscire il “colpaccio” di portare a L.A. uno dei “purosangue” disponibili nel mercato free agent, da Kawhi Leonard (da molti accostato alla franchigia fin dalla sua cessione a Toronto) a Kevin Durant passando per Kyrie Irving. L’ondivago playmaker dei Celtics infatti, dopo aver dichiarato eterno amore al Trifoglio ed aver parzialmente ritrattato, ha speso parole delicate per coach Rivers: “E’ facile giocare per uno che è stato un atleta nella lega. Ha vinto titoli e ha fatto cose incredibili per i suoi, dandogli la fiducia e chiedendogli di scendere in campo senza pressione, solo quella di essere sé stessi”.
Qualcuno ha visto queste parole come un colpo basso a Brad Stevens (che nell’NBA non ci ha giocato), ma potrebbe essere una sorta di “dichiarazione d’intenti”, un messaggio più o meno cifrato ai Clippers per dirgli che li considera come una possibile destinazione.
Ma qui stiamo parlando delle possibili ramificazioni del mese di luglio, prima di arrivare all’estate Rivers e la sua ciurma piloteranno il loro veliero tra i pericolosi mari dei playoffs. Lo faranno senza alcuna pressione, consci che l’esperienza della post-season per loro è un punto di partenza, un momento di crescita senza alcuna pressione.
Bravo il coach, bravo il “Gallo”, bravi tutti: a volte basta una squadra come i Clippers per riconciliarti con un mondo NBA in cui il duro lavoro, il gioco di squadra e l’umiltà fanno ancora la differenza.