Prendiamo una pausa dall’avvincente realtà dei Playoffs per fare il punto sulla stagione delle matricole della NBA. Chi ha convinto? Chi ha deluso? Chi ha sorpreso?
I duellanti
Nella prima categoria troviamo sicuramente Luka Doncic e Trae Young, i protagonisti assoluti della “Class of 2018”.
Dopo un inizio difficile, Young ha letteralmente preso per mano gli Hawks e li ha accompagnati in un finale di stagione esaltante, almeno per il valore del roster di Atlanta. Specialmente dopo l’All Star Weekend, Trae ha innalzato il suo rendimento, viaggiando a oltre 24 punti e 9 assists e mostrando netti miglioramenti nella lettura della partita. Come abbiamo ricordato negli episodi precedenti di questa rubrica, la sua partita contro i Bulls – chiusa a 49 punti e 16 assists – resterà tra le perle di questa stagione, ponendolo in compagnia di Michael Jordan e LeBron James come l’unico rookie in grado di chiudere una partita con più di 40 punti e 10 assists. L’ex Sooner ha talmente convinto che per alcuni meriterebbe il premio di “Rookie of the Year” ma, ci dispiace, questo sembra un’esagerazione.
Si, perché non basta evidenziare il leggero appannamento mostrato da Doncic nel mese finale per privarlo di quello che appare il premio post-stagionale più limpido. Le statistiche sono eccezionali: 21 punti, 8 rimbalzi e 5 assists, una “stats line” che solo Oscar Robertson aveva raggiunto nel suo anno da “rookie”. Non solo, con le 8 “triple doppie” supera il Magic Johnson del 1980. Non sono solo i numeri a issarlo sopra le altre matricole, è l’impatto che ha avuto sulla NBA, forse neanche lei pronta ad abbracciare un talento eccezionale e, allo stesso tempo, maturo oltremisura. Luka è apparso uno di quei giocatori di un’altra categoria, di quelli che segnano il futuro della fortunata franchigia che può disporne, di quelli che la NBA coccola e promuove come “faccia” della Lega. Il prossimo anno a Dallas si aspettano grandi cose, ma con lo sloveno a dettare i ritmi dell’attacco la postseason non appare così lontana.
Il primo quintetto All Rookie
Accanto a Doncic e Young, meritano il posto nel primo quintetto DeAndre Ayton, Jaren Jackson Jr e Shai Gilgeous – Alexander.
Ayton si è trovato invischiato nelle “sabbie mobili” di Phoenix, ma nel complesso la sua stagione solidissima (16 punti e 10 rimbalzi di media) ha rappresentato una delle poche note liete per i deludenti Suns. Sebbene il basket attuale sia orientato sempre più sul perimetro, riservando ai “big men” spazi marginali, DeAndre potrà risultare un asset decisivo nella rinascita dei Suns per la capacità di essere pericoloso anche a sei metri dal canestro e per l’incredibile dinamismo. La pensa così anche Ray Allen, autore di una dichiarazione entusiasta sulle potenzialità del giovane bahamense, prevedendone un futuro addirittura da dominatore. Per confermare le previsioni di “Jesus”, Ayton dovrà curare il suo approccio difensivo, perché in questa prima stagione è apparso troppo poco incisivo.
I Grizzlies sono state una delle franchigie peggiori della NBA. Dopo un inizio promettente, la franchigia del Tennessee è ripiombata nella mediocrità, rendendo così inesorabile la ricostruzione. Jaren Jackson Jr sarà una delle pedine fondamentali perché, anche negli Stati Uniti, è molto raro trovare un giocatore così versatile e così incisivo sui due lati del campo. Se in attacco gli è indifferente posizionarsi in post basso o alla linea dei tre punti (36% dall’arco), in difesa può tranquillamente accoppiarsi con gli esterni e intimidire a centro area. Peccato che il grave infortunio lo ha costretto a terminare la stagione proprio nel momento in cui è stato ceduto Marc Gasol, ma a Memphis sono entusiasti e sono pronti a costruire la squadra attorno a Jaren.
Chiude il quintetto Shai Gilgeous-Alexander. La sua seconda metà stagione è stata decisamente in calo, ma l’esordio nella NBA è stato al di là di ogni più rosea aspettativa. L’ex Kentucky ha saputo approfittare della presenza di “Doc” Rivers – un allenatore abituato a lavorare con i giovani fin dai tempi di Orlando e Boston – e la sua stagione è uno dei motivi dell’insperata qualificazione ai Playoffs. Shai è partito in quintetto per 73 volte, ha costituito con Patrick Beverley una delle coppie difensive più ardue da affrontare, ed è migliorato costantemente nel corso della stagione. Sulle statistiche non eccezionali (10 punti e 3 assists) pesa l’attacco molto “democratico” dei Clippers, ma anche ai Playoffs ha sorpreso per la maturità e il coraggio con la quale ha affrontato i campioni in carica di Golden State. Si è tolto anche lo sfizio di segnare 25 punti in gara 4, entrando nel libro dei record della franchigia californiana come il rookie più prolifico nella postseason.
Il secondo Quintetto All Rookie
Dopo neanche un mese di Regular Season Collin Sexton sembrava aver tradito i molti osservatori che avevano scommesso sul giovane della Georgia come “sleeper” per il titolo di “Rookie dell’anno”: incapace di coinvolgere i compagni di squadra e, a peggiorarne la posizione, i giudizi poco lusinghi provenienti dallo spogliatoio. Ma, con il proseguo dell’annata, Collin ha iniziato a mostrare quelle doti realizzative che lo avevano portato alla scelta numero 8. Se gli assists sono sempre pochi (solo 3 a partita), ha sorpreso la precisione al tiro dalla distanza (oltre il 40%). I Cavs hanno chiuso nelle retrovie della debolissima Eastern, ma il prossimo anno ripartiranno dall’elettricità dell’ex Alabama.
Attorno a Marvin Bagley c’erano moltissime aspettative. Nella sua annata a Duke aveva strabiliato tutti grazie alla reattività sotto i tabelloni, alla fluidità nell’attaccare i lunghi avversari e la velocità sui 28 metri. A Sacramento ha sofferto l’affollamento nel settore lunghi dei Kings, ma pian piano il suo talento è emerso. Da febbraio ha tenuto oltre 18 punti e 9 rimbalzi, delle cifre già di per sé ottime, ancor di più se conquistate giocando in una squadra in piena lotta per un posto ai Playoffs. Con un‘estate di lavoro davanti, Marvin è atteso a Sacramento per una seconda stagione da protagonista così da riportare i Kings a quella postseason attesa da più di dieci anni.
Scelto alla 26 da Philadelphia, Landry Shamet ha saputo trovare ampio spazio sia ai Sixers che ai Los Angeles Clippers. Proprio in California ha trovato l’ambiente ideale per emergere, la sua eccellente mano dalla distanza è stata un’arma determinante per la ricorsa ai Playoffs della squadra di Rivers. “E’ un giovane che farà strada nella lega. Abbiamo dovuto cambiare il nostro “game plan” difensivo per arginarlo”. Parole di Kevin Durant dopo i 17 punti (con un sontuoso 5/6 da te punti) di Landry nella partita del 7 aprile, e che trovano conferma nella freddezza con la quale ha insaccato il canestro decisivo dell’epica rimonta di gara 2 della serie tra Warriors e Clippers.
Un altro tiratore che ha saputo conquistare spazio e fiducia nel suo primo anno è Kevin Huerter. Il suo è un nome quasi sorprendente perché i primi mesi di stagione non erano stati certo i più brillanti. Ma la seconda parte di stagione è stata positiva, la precisione e la velocità nel rilascio del tiro dalla distanza sono il perfetto complemento alle doti di creatore di gioco di Young, e dal loro affiatamento partirà la rinascita degli Hawks.
Chiude i “secondi cinque” Mitchell Robinson. Il giovane centro volante di New York è stato selezionato al secondo giro a causa della problematica esperienza a Western Kentucky, ma nessuno aveva messo in dubbio il suo talento e il suo potenziale. Ancora molto grezzo offensivamente, ha mostrato una verticalità irreale anche per la NBA e, in soli 20 minuti di utilizzo, ha distribuito ben 2,4 stoppate di media. Sarà molto interessante seguirne l’evoluzione nei prossimi anni.
I promossi
Anche se non hanno conquistato un posto nei due quintetti, altri giocatori meritano un plauso per la loro stagione.
Wendell Carter, prima di chiudere anzitempo per infortunio, era stabilmente in quintetto nei Bulls. Proprio come Josh Okogie, che a Minnesota ha conquistato tutti per l’impegno difensivo. Anche Kevin Knox, nella stagione degli esperimenti ei Knicks, ha mostrato alcune caratteristiche che lo potranno trasformare in un bel giocatore NBA. Molto bene anche Jalen Brunson, che con la sua estrema solidità ha convinto i Mavs a cedere Dennis Smith Jr. Nella “Grande Mela” sono andati molto al di là delle previsioni Allonzo Trier, forse poco ordinato ma comunque incisivo per i Knicks, e Rodions Kurucs che ai Nets ha meritato ben 46 apparizioni in quintetto.
I rimandati
Un gradino sotto troviamo alcuni dei giocatori più considerati del Draft 2018. Mikal e Miles Bridges, Aaron Holiday, Troy Brown, Grayson Allen e tanti altri.
Il principale però è Mohamed Bamba. Anche prima dell’infortunio che ha posto fine alla sua prima stagione, Mo si è meritato poco spazio nei Magic. Non è passato inosservato l’uso delle sue braccia chilometriche (1,4 stoppate in soli 16 minuti), ma a Orlando sperano in un secondo anno decisamente migliore.
Finita la loro prima stagione tra i “grandi”, i rookies sono attesi da un’estate di lavoro per migliorare e presentarsi al meglio nel secondo campionato. L’appuntamento è per l’inizio della stagione 2019/20 per verificare i progressi dei protagonisti della NBA che verrà, e non stupiamoci se, tra soli sei mesi, questi primi giudizi saranno ribaltati.