Le Finals sono entrate definitivamente nel vivo, il pareggio di Golden State ha reso la serie ancora più avvincente e incerta. Se normalmente l’interesse di tutti – tifosi, appassionati, giornalisti, addetti ai lavori – era dedicato alle azioni spettacolari dei grandi campioni della lega, al pathos e alla tensione propria dei momenti che decidono una stagione, quest’anno l’attenzione si è spostata inesorabilmente verso i continui bollettini medici, mai così importanti in una serie per il titolo.
Non è solo Kevin Durant a tenere i Warriors con il fiato sospeso, Gara 2 ha “regalato” altri due pazienti eccellenti: Klay Thompson è alle prese con un guaio muscolare (bicipite femorale sinistro) che ne mette in dubbio la partecipazione nel terzo episodio della serie, mentre Kevon Looney è out definitivamente per la frattura alla clavicola. Anche a Toronto non dormono sonni tranquilli, il ginocchio di Kawhi Leonard è oggetto di attentissime cure per alleviare il dolore ed evitare ulteriori danni in vista delle prossime partite.
La salute cagionevole non sta colpendo soltanto i campioni impegnati nelle Finals, giocatori intossicati dall’eccessiva fatica di una stagione da oltre 100 partite, ma si è estesa anche ai prossimi protagonisti della NBA. È notizia di qualche giorno fa che due dei più attesi protagonisti del Draft sono andati sotto i ferri del chirurgo.
Ja Morant, il “play volante” di Murray State, ha effettuato una “pulizia” il ginocchio destro per presentarsi in perfetta efficienza al via del prossimo campionato. Un’operazione di routine (tempi di recupero dalle 2 alle 4 settimane) che non dovrebbe avere nessuna ripercussione sulla sua scelta, Memphis è decisa a fare di Morant il suo prossimo giocatore franchigia e rilanciarsi definitivamente.
Anche Cameron Reddish, uno dei giocatori più talentuosi ed enigmatici del prossimo Draft, si è sottoposto a un’operazione per risolvere un problema muscolare al cosiddetto “core” (in breve, l’insieme dei gruppi muscolari nella zona addominale e lombare), una zona delicata per ogni atleta. I tempi di recupero ipotizzati sono di circa sei settimane, un periodo che non metterà certamente a repentaglio la sua carriera, ma che potrebbe far scivolare l’ala di Duke di qualche posizione visti anche i dubbi derivanti da una stagione non proprio all’altezza.
Non c’è che dire, la vita del giocatore professionista (o quasi) non è così mai stata così difficile….