I rookie stanno già per gustare il primo assaggio di NBA con la prossima Summer League. Il Draft ha permesso loro di realizzare il sogno di entrare nella NBA, ma la lega non è solo quel mondo magico e dorato che s’immagina dall’esterno. Certo, i contratti milionari, l’attenzione e la riconoscibilità sono lì che aspettano, ma tutto può svanire in un attimo. Basta un infortunio, un calo di rendimento e tutto questo può finire, il “carrozzone” può decidere di fare a meno di te.
Per tutti può valere l’esempio di Jabari Parker, seconda scelta assoluta del Draft del 2014 dopo l’eccellente stagione con i Blue Devils di Duke. In quel Draft era considerato una “macchina da canestri” impossibile da arginare, il miglior realizzatore e la matricola più pronta per contribuire da subito nella lega.
Il problema per Parker non è stato trovare il modo di segnare, ma quello di scendere in campo. Dopo un inizio confortante (12 punti di media) negli allora poco brillanti Bucks, Jabari si infortunò al temuto A.C.L. (acronimo inglese che sta per il legamento crociato anteriore) e fu costretto a saltare le seguenti 57 partite della sua stagione d’esordio.
Un infortunio può capitare – ormai le moderne tecniche di riabilitazione permettono un recupero quasi completo – ma se appena rientri ti capita un secondo gravissimo infortunio al ginocchio, ecco che le chance di tornare il giocatore che eri e, soprattutto, diventare il giocatore che tutti si aspettavano, scendono rapidamente. Purtroppo, è quello che accadde a Jabari nella sua terza stagione, mentre stava finalmente giocando da protagonista (20 punti di media).
Dopo il secondo infortunio, il rendimento di Parker non fu più lo stesso, così i Bucks decisero di non investire più su un giocatore “avariato” (termine cinico per definire qualcuno che ormai non ha più l’integrità fisica), lasciandolo libero di accordarsi con i Bulls.
Il ritorno a casa – Jabari è uno dei giocatori migliori usciti dai licei e dai playground di Chicago – fu accolto con entusiasmo dalla città e dai tifosi, ma la realtà fu meno esaltante. Poco spazio, poche gioie, l’estromissione dalla rotazione e la successiva cessione a Washington nel mercato di febbraio. L’esperienza nella Capitale è stata addirittura peggiore: l’arrivo in una squadra senza obiettivi, decapitata del leader (John Wall), con un progetto tecnico in dismissione e con la necessità di morigerare l’impegno finanziario. E, soprattutto, un rendimento poco soddisfacente (15 punti di media ma senza convincere).
Naturale, quindi, che a fine stagione i Wizards e Parker prendessero strade diverse. Washington ha selezionato al Draft Rui Hachimura – un giocatore dalle caratteristiche simili che, nelle speranze del management, riuscirà a completare quella trasformazione in ala piccola che a Parker non è riuscita – e ha deciso di non esercitare la “team option” da 20 milioni prevista nel contratto di Jabari.
L’avventura è a Washington terminata, adesso Parker dovrà cercare un’altra squadra per continuare la sua avventura nella NBA. Un’impresa non facile perché di squadre pronte a scommettere su un giocatore accompagnato da evidenti problemi fisici ed enigmi tecnici rilevanti (non rapido abbastanza per difendere sul perimetro e poco propenso a tirare dall’arco per gli attuali standard) non saranno molte, soprattutto non alle cifre paragonabili a quelle percepite quest’anno.
Chiariamoci, nessuna commiserazione: Jabari è un ragazzo di 24 anni, ricco (ha guadagnato oltre 40 milioni di dollari nella sua carriera) e non ha problemi di sostentamento. Ma la sua storia esemplifica al meglio come il passo tra la luce della notorietà e la penombra dell’ordinarietà può essere breve, come le speranze possano essere disattese, come il futuro di questi fantastici atleti sia sempre in bilico.