“With the 9th pick of the NBA Draft 2019, the Washington Wizards select….Rui Hachimura, from Gonzaga University”.
Quando Adam Silver ha pronunciato queste poche parole, la sera del 20 giugno, si è scatenata la gioia incontenibile dei tanti tifosi di Rui Hachimura. No, non a Spokane (la sede del college di Gonzaga), ma molto più lontano, per la precisione a Toyama, metropoli adagiata sulle coste occidentali dell’isola di Honshu (la più grande delle isole che costituiscono il Giappone).
Si, perché Hachimura è l’orgoglio del basket nipponico, il primo giocatore del “Sol Levante” a essere scelto al primo di giro di un Draft NBA. Qualche burlone potrebbe arguire che era dai tempi di Oliver Hutton e Mimì Ayuhara che lo sport giapponese non raggiungeva un tale riconoscimento, ma questa volta c’entra poco la fantasia dei disegnatori giapponesi, Hachimura giocherà veramente nella NBA coronando un sogno che all’inizio sembrava irrealizzabile.
Impossibile, assurdo, utopistico, tutti termini che potremmo usare per descrivere il desiderio che animava il giovane Rui durante gli allenamenti a Toyama – e, successivamente alla Meisei, sua seconda tappa nello sviluppo come giocatore -, perché anche nello sport globalizzato di questo millennio di giocatori giapponesi nella NBA non se ne vedono. Un sogno che iniziò a prendere forma quando Hachimura aveva dodici anni. Dopo aver provato con il karate, il calcio e il baseball, decise che il basket sarà il suo sport. La passione per la “palla a spicchi” lo portò ad applicarsi con costanza e, dopo i successi nazionali con la squadra di Meisei, arrivò anche la convocazione nella squadra giovanile che nel 2013 prese parte ai Giochi Asiatici.
Ma fu un’altra manifestazione internazionale che incise in modo determinante sul futuro di Rui. Nei Mondiali U17 del 2014 chiuse come il miglior realizzatore della manifestazione (oltre 22 punti di media), ma molto più importanti furono i 25 punti segnati agli Stati Uniti di Jayson Tatum e Josh Jackson (rispettivamente terza e quarta scelta dl Draft 2017). Il coming out party di Hachimura non lasciò indifferenti gli osservatori collegiali che presero nota delle grandi qualità atletiche del nippo-beninese. Il più convinto fu Tommy Lloyd (assistente allenatore di Gonzaga) che, solo qualche mese dopo e approfittando di una partita degli Zags in Giappone, si recò a casa Hachimura per formalizzare l’offerta di una borsa di studio.
“Gonzaga? Dov’è?” Questa fu la prima reazione di Rui all’offerta, ma poco dopo la possibilità di giocare negli Stati Uniti, di affrontare avversari migliori, di trarre profitto da un basket più competitivo, lo convinsero facilmente. Il primo anno fu tutt’altro che facile. Non solo fu difficile seguire le indicazioni tecniche e tattiche degli allenatori, ma anche comprendere semplicemente cosa stessero dicendo. Hachimura non riusciva neppure a dire correttamente il suo nome. Al campus di Spokane, Rui è conosciuto come “Louis” (o “Lucas”, secondo una recente evoluzione…) per come il suo nome suonava a causa della nota incapacità di pronunciare la “erre” dei giapponesi . “Aveva un gran sorriso e annuiva sempre alle nostre indicazioni.”, racconta Mark Few, il capo allenatore di Gonzaga, “Mi voltavo verso i miei assistenti e dicevo loro: ‘ Quando Rui fa così significa che non ha capito granché’. E infatti…”.
Difficile calarsi in una nuova realtà e assorbire una nuova lingua così rapidamente. Inoltre, lo spazio fu pochissimo. Gli Zags arrivarono a un passo dal titolo, perdendo una combattutissima Finale contro North Carolina. Improbabile concedere spazio a un giovane molto atletico ma ancora grezzo.
Ma, dall’anno successivo la storia cominciò a prendere una piega decisamente diversa. Da sophomore ricoprì il ruolo di “sesto uomo” e chiuse a 11 punti e 5 rimbalzi in poco più di 20 minuti di impiego. Ormai il suo nome era associato alla NBA, per tutti era “The Japanese Freak“ per quella somiglianza fisica con il primo Giannis Antetokounmpo.
L’inizio di questo suo terzo – nonché ultimo anno al college – non ha fatto altro che confermare le previsioni degli scout. La sua partita migliore è occorsa proprio all’inizio della nuova stagione, quando gli Zags hanno superato i favoritissimi Blue Devils di Duke e di Zion Williamson. Dopo quella vittoria (ottenuta grazie anche ai suoi 20 punti, 7 rimbalzi, 5 assists e 3 stoppate), ogni scout aveva il nipponico nella ristrettissima cerchia dei migliori cinque talenti disponibili. La stagione però non ha seguito l’entusiasmante percorso che in molti si aspettavano: Gonzaga ha vinto, naturalmente, la sua Conference, ma ha perso alcune partite contro avversari di rilievo (Tennessee e North Carolina) e, soprattutto, ha deluso al Torneo NCAA. Anche Rui non ha brillato nella “Big Dance” e, anche se può sembrare paradossale, quelle tre partite hanno influito molto nelle valutazioni in vista del Draft. Le qualità fisiche e atletiche sono lì da vedere, e nessuno nega che il suo repertorio sia più ampio e incisivo – specialmente con delle interessanti soluzioni nel mid-range game – ma gli osservatori più scettici fanno notare come il suo gioco sia ancora troppo poco fluido sul perimetro e che il tiro in sospensione è migliorato, ma ancora insicuro e, per questo poco, utilizzato per i canoni della NBA (in stagione un ottimo 41 % dall’arco, ma un solo tentativo a partita).
Washington non ha esitato a selezionarlo alla numero 9, consapevole che sussistono ancora quelle aree di miglioramento, ma che il percorso della carriera di Hachimura parla decisamente a suo favore.
Scott Brooks è entusiasta: “E’ un buonissimo giocatore con un grandissimo upside. Contribuisce su due lati del campo, è allenabile e sarà un grande compagno di squadra. E’ il tipo di giocatore di cui abbiamo bisogno.”
“Rui è un ragazzo davvero fantastico. Ha superato molti ostacoli, ha lavorato per diventare un giocatore migliore e adesso si merita questo traguardo”, gli fa eco Mark Few .“E’ un lavoratore incredibile. Si sveglierà alle 6 del mattino per migliorare il suo gioco ed eliminare le sue lacune, e lo farà perché altrimenti la sua giornata non sembrerà avere un senso”.
Solo cinque anni fa, Rui era uno sconosciuto e spaesato teen-ager proveniente da un paese senza pedigree cestistico. Oggi, “Louis” è un ventenne completamente adattatosi al mondo americano, consapevole che la dedizione e l’abnegazione, che gli hanno permesso di essere scelto al Draft, saranno la discriminante per il suo successo nella NBA.
頑張って 八村 塁
Buona fortuna, Rui!