L’estate è finalmente agli sgoccioli, le tante chiacchiere che hanno affollato i vari social hanno lasciato il passo alle partite della World Cup e all’orizzonte compare la nuova stagione NBA. Ma torniamo per un attimo al mese di agosto perché, dopo qualche anno di assenza, è tornato a far parlare di sé Gilbert Arenas, uno dei giocatori di spicco della NBA dei primi anni 2000.
Impegnato nell’ormai celebre “Big 3”, il campionato principalmente di vecchie glorie ideato da Ice Cube – attore e prima rapper tra i più influenti della West Coast con i suoi N.W.A.- “Agent Zero” ha ritrovato una certa loquacità e, come era uso fare sul campo da basket, anche con i media Gilbert ha colpito da ogni posizione rilasciando opinioni su una moltitudine di argomenti. Ne ha avute per tutti: Carmelo Anthony, Vince Carter, Devin Booker, Toronto Raptors.
Andiamo con ordine: Vince Carter “dovrebbe essere seduto su una panchina in veste di allenatore, o in ufficio con un ruolo dirigenziale, ma non in campo. Dovrebbe lasciare spazio ai giovani che sperano di giocare nella lega”; Devin Booker – protagonista di uno screzio con Joakim Noah durante un allenamento – dovrebbe “non lamentarsi dei raddoppi subiti in allenamento, ma pretenderli anche nelle partite estive perché sono un segno di rispetto”; Toronto è una destinazione poco gradita ai giocatore “perché è in Canada, e per i familiari e gli amici dei giocatori, cresciuti nella “giungla”, è difficile raggiungere un paese straniero per assistere alle partite”. Quest’ultima, seppur condita dal suo consueto stile “in your face”, trova riscontro nelle preferenze dei nuovi protagonisti della NBA, sempre più attenti a non allontanarsi troppo da casa. Basti pensare alla volontà di Kawhi Leonard di firmare per i Clippers in modo da trascorrere più tempo vicino ai suoi affetti.
Interessante la posizione su Anthony, perché ricorda, in qualche modo, quella affrontata da Gilbert: ambedue talenti sopra la media, ambedue ostracizzati per problemi gestionali, “Agent Zero” per limiti comportamentali, Carmelo per gli interrogativi tecnici. Per Gilbert “Melo ha 35 anni ma ancora molto da dare, il vero punto di domanda è la sua voglia di sacrificarsi, di fare un passo indietro, di sedersi in panchina e delegare le responsabilità ad altri. Sapevo che a Houston non avrebbe funzionato per la presenza di due “ball dominant” come Harden e Paul a relegarlo come terza opzione. Invece, gli consiglio di andare ai Lakers, hanno bisogno di un giocatore in grado di allargare il campo e giocare qualche isolamento. Sarebbe perfetto in uscita dalla panchina, e nel quarto periodo potrebbe essere la prima opzione”. Una convinzione che lascia qualche perplessità, perché a Los Angeles difficilmente Anthony Davis e LeBron James sarebbero lieti di delegare a Melo i palloni decisivi.
Ma, se parliamo di convinzioni non totalmente condivisibili, Arenas ha lasciato il meglio per commentare l’assunzione di Antawn Jamison come Direttore del Personale dai Wizards. Nel felicitarsi per il nuovo ruolo, e nel ribadire di come sia necessario che siano gli ex giocatori a spiegare alle matricole e ai giovani come si sopravvive nel duro mondo della NBA, Arenas ha affermato che sarebbe “un grande allenatore perché ho studiato a lungo il gioco, e questo mi permetterebbe di insegnare ai giocatori come e in quali aree migliorare “. Un’affermazione altamente discutibile, perché è difficile immaginarlo come mentore e “role model” alla luce della serie di stranezze compilate nella sua carriera.
La sua riapparizione ha anche permesso di ricordare cosa sia stato Arenas, ovvero uno dei giocatori più divertenti ed efficaci nella metà campo offensiva della NBA d’inizio millennio, una dei primi che hanno sdoganato il ruolo della “combo guard” ad altissimo livello. Il suo impatto in quegli anni va oltre al palmares, che comunque può contare su tre convocazioni per l’All Star Game, tre nomine nei quintetti All NBA, oltre 11.000 punti segnati (29,3 di media nel 2005/2006). Eppure, attorno alla sua figura aleggia indelebile quello che accadde nel dicembre 2009. Seppur ancora ci siano delle zone d’ombra, “Agent Zero” e un suo compagno (Javaris Crittenton, un talento naufragato tra i problemi caratteriali che lo hanno portato a scontare ben 23 anni di carcere per omicidio) si scambiarono pesanti accuse che sfociarono nell’estrazione di armi da fuoco in spogliatoio. Un fatto gravissimo che portò alla sospensione di entrambi i giocatori e, più importante, decretò la fine di Arenas. Gilbert era già alle prese con gravi problemi al ginocchio che gli impedivano un rendimento all’altezza del suo nome, ma quell’episodio causò la cessione da parte dei Wizards e poi, a soli 30 anni, l’estromissione da parte della NBA.
Un’estate davvero intensa per l’ex stella di Washington, con una serie di dichiarazioni nelle quali non è difficile trovare nostalgia e risentimento, ma soprattutto una palpabile voglia di rientrare nella NBA, un mondo da cui ha avuto molto sia in termini di guadagni che di notorietà, ma che lo ha costretto a un addio amaro.
Intanto, nella speranza di venir riabilitato e trovare spazio nella lega, può gioire nel vedere il suo nome e quello dei Wizards del 2006 tra le squadre “leggendarie” che possono essere selezionate nel famoso videogame della NBA. Una piccola consolazione, ma almeno così potrà rivivere, anche se in modo artificioso, il grande talento di “Agent Zero”.