Erano 15 anni che una selezione NBA non veniva maltrattata in campo internazionale, dalla lontana vittoria dell’Argentina ai giochi Olimpici di Atene nel 2004.
E’ capitato di nuovo ieri a Dongguan, quando un blackout nei minuti finali ha trasformato un +5 (76 a 71) di Team USA in un -10 (79 a 89). Applausi meritati ai transalpini che hanno avuto il grande merito di non mollare mai, continuando a innescare la coppia Evan Fornier-Rudy Gobert, e giuste le critiche a Gregg Popovich e la sua truppa. Si sa che per una selezione NBA in una manifestazione internazionale tutto ciò che non è il primo posto si traduce in un fallimento.
Altrettanto scontata la reazione della rete, con critiche feroci ai super-pagati eroi del basket “che non rispettano le avversarie e prendono sotto gamba gli impegni internazionali”…non ne perdevano uno dal 2004…ma va bene così. Purtroppo, però, le critiche al giorno d’oggi nella rete perdono il contatto con la realtà e si tramutano in una specie di linciaggio…e questo forse va meno bene.
Perle del tipo “la pallacanestro ha battuto il basket”, “in NBA ci sono solo 15 giocatori”, “non sanno giocare al basket classico” hanno caratterizzato il pomeriggio e la serata del web. Nel frattempo si gonfiava l’ego degli esperti da tastiera che per qualche giorno potranno sentirsi superiori a quel mondo tanto ricco e distante, secondo il vecchio adagio del “nondum matura est”. Senza comprendere che la sconfitta degli Stati Uniti è solo in parte una brutta figura per la lega, perché in realtà la World Cup continua a essere dominata dai “figli dell’NBA”. L’Australia con i Mills, Ingles, Baynes e Bogut, la Spagna di Gasol, di Rubio e degli Hernangómez….e anche la pur “autarchica” Argentina, che nella “Generación Dorada” contava su Ginóbili, Oberto, Prigioni, Wolkowyski, Delfino, Nocioni, Sconochini e Sánchez e oggi non li ha più, con i suoi giovani lupi si stringe attorno a Luis Scola (39 anni e 791 partite NBA) per trovare ispirazione, esperienza e leadership. La Francia elimina gli Stati Uniti: chi sono i “grognard” di Vincent Collet, Napoleone di Normandia che potrà raccontare ai nipoti del giorno in cui mise nel sacco Gregg Popovich? Rudy Gobert, Evan Fournier, Nicolas Batum, Nando De Colo, Frank Ntilikina…i leader giocano o hanno giocato oltreoceano…
A quanti da ieri impazzano sul web gridando che il Re è nudo, che l’NBA non è il Sacro Graal dei canestri, che l’Europa regna sovrana, propongo solo quattro numeri: 83 su 90 e 79 su 89. Sono i punti segnati martedì dai giocatori spagnoli con esperienza NBA alla Polonia e quelli realizzati ieri dai francesi con passato e presente nella lega americana. Il 90% dei punti transalpini e iberici nei quarti di finale è stato mandato a canestro da chi ha scelto l’esperienza americana…alla faccia dell’NBA ridimensionata!
Possiamo illuderci, ma i numeri – e gli occhi, per chi vuol vedere – non mentono: l’NBA rimane il massimo comune denominatore anche quando la selezione americana perde.
E sappiamo anche quale sarà la reazione del mondo NBA per il quale una sconfitta internazionale rappresenta un danno economico e d’immagine. Alle Olimpiadi di Tokyo c’è da scommettere che vedremo un altro “redeem team”, mentre gli esperti da tastiera spergiurano che loro l’avevano sempre detto…tranquilli, mancano solo 11 mesi.