Se parliamo di playmaker nel vero senso del termine, Ricky Rubio è senza dubbio uno degli ultimi superstiti nel suddetto ruolo. Nell’era delle point guard atletiche e dal range di tiro illimitato, il campione del mondo con la Spagna sta dimostrando che è ancora possibile incidere giocando come un vero regista che ha come focus principali il flusso dell’attacco e il compagno più libero. Anno dopo anno, la più grande abilità di Ricky Rubio è stata quella di cambiare il suo basket (adattandolo alla pallacanestro attuale) senza però stravolgerlo, mantenendo uno stile basato sull’altruismo e sulla capacità di dettare i ritmi degli attacchi come un direttore d’orchestra. L’esterno ex Timberwolves ha migliorato le sue percentuali (nelle sue prime cinque stagioni NBA non ha mai nemmeno sfiorato il 40% dal campo, mentre nelle ultime tre lo ha sempre superato), si è costruito un rispettabilissimo tiro dalla media (dal palleggio), ha quasi raddoppiato il numero di conclusioni dall’arco rispetto a inizio carriera (133 tentativi nel 2013-2014 – la sua prima stagione NBA da più di 60 partite – e 254 tentativi nel 2018-19) ed è maturato notevolmente dal punto di vista realizzativo. Importante, inoltre, anche la sua crescita fisica: indispensabile per competere con i pari ruolo in NBA e nelle competizioni con la Nazionale.
Sembra incredibile, ma stiamo parlando di un giocatore che il 21 di ottobre spegnerà solamente 29 candeline. Ricky Rubio ha disputato la sua prima Olimpiade a 17 anni giocando minuti veri (ha chiuso con una media di 4.8 punti) e vincendo una medaglia d’argento. Ma la sua avventura tra i professionisti è cominciata nella stagione 2005-2006 a Badalona, dove a 14 anni e 11 mesi è diventato il giocatore più giovane di sempre a esordire nel massimo campionato spagnolo. Poi la nomina al Draft NBA 2009, due anni al Barcellona per farsi le ossa e lo sbarco negli USA nel 2011 a Minneapolis, con tanto di nomina nel primo quintetto dei rookie. Un talento cristallino e precoce, attorno al quale ci sono sempre state delle aspettative enormi che, probabilmente, lo hanno condizionato negativamente durante i suoi primi anni in NBA. Ora Ricky Rubio è un giovane veterano che nella sua carriera ha dovuto superare tanti ostacoli, a partire dalla rottura del crociato anteriore nel 2012. In molti, i Timberwolves in primis, pensavano (e speravano) che quel sorridente ragazzino catalano potesse diventare uno dei playmaker più forti della Lega, un uomo franchigia, un All-Star. Così non è accaduto, ma Rubio si è lasciato alle spalle le critiche ed è riuscito a mascherare le lacune presenti nel suo modo di giocare.
Una trade, nel giugno 2017, ha permesso a Rubio di dire addio al Minnesota e di trasferirsi nello Utah. Ai Jazz lo spagnolo è definitivamente maturato dal punto di vista cestistico, perché ha potuto finalmente vestire i panni della point guard titolare di una squadra da Playoff. Ha dimostrato, quindi, di poter essere un atleta di alto livello NBA: questo grazie ai cambiamenti nel suo modo di giocare che sono stati evidenziati all’inizio dell’articolo. Una metamorfosi che, senza il duro in lavoro in palestra e una motivazione fuori dal normale, non sarebbe mai avvenuta.
A 28 anni, Rubio è un giocatore con quasi 15 anni di carriera alle spalle e ancora diverse stagioni ad alto livello davanti agli occhi. Tolti il Rising Star Trophy dell’Eurolega 2010 e il premio di Mr.Europa assegnatoli dalla redazione di Superbaskt nel 2008, l’ex Barcellona ha appena concluso un Mondiale in cui ha conquistato il primo riconoscimento individuale del suo percorso nel basket professionistico: l’MVP della competizione con 16.4 punti e 6 assist di media (e 20 punti, 7 rimbalzi e 3 assist in finale). Dopo una non brillante prestazione contro l’Italia, Ricky Rubio ha alzato l’asticella della sua pallacanestro e ha ricominciato ad amministrare perfettamente i giochi offensivi della Nazionale giallo-rossa: assieme a lui è salita di colpi anche la Spagna, che dalla partita con la Serbia in poi si è rivelata irresistibile. E senza l’ordine, la leadership, la visione di gioco e la continuità del suo play, difficilmente gli iberici avrebbero conquistato l’oro.
Tra poche settimane, Ricky Rubio comincerà l’ennesima sfida della sua carriera: essere il veterano capace di fare da chioccia ai numerosi giovani presenti nel roster dei Phoenix Suns. Un ruolo inusuale per un 29enne qualunque, ma non per il catalano di El Masnou.
Fabrizio Fasanella