Che la World Cup cinese abbia rappresentato un momento poco felice per l’NBA è un dato di fatto: 342 dei 450 atleti presenti nei roster delle squadre all’inizio della stagione passata erano statunitensi, E’ quindi evidente che la sconfitta del movimento americano è anche quella dell’NBA nel momento in cui la lega professionistica è la punta di diamante del movimento ed ha mandato la selezione perdente.
Chi vince sta antipatico, e poi “ha rovinato il gioco”, “trasforma i giocatori in robot”, “non sa giocare di squadra”, “è crollata la casa, c’è stato un terremoto, una tremenda inondazione, le cavallette”! Ma citazioni a parte, è triste vedere che nel nome di una inutile glorificazione del basket europeo ci sono “esperti” che non perdono occasione per sminuire il basket NBA…come se i Dončić, i Bogdanović, i Gallinari un giorno decidessero di andare là solo per i soldi e non perché è li che giocano quelli più bravi al mondo, è lì che devi giocare per andare “sulla mappa” di quelli che contano.
Che la sconfitta di Team USA però sia il fallimento dell’NBA – frase letta in più occasioni negli ultimi giorni e vergata anche da penne conosciute – è un’assoluta falsità proprio per il numero riportato sopra. 108 di quei 450 atleti infatti sono “stranieri” e molti di loro al Mondiale hanno potuto rinforzare le rispettive rappresentative, risultando decisivi in più occasioni.
Vogliamo forse negare che i due migliori nella vittoria della Francia proprio sugli USA siano stati il Jazz Rudy Gobert ed il Magic Evan Fournier? Che nella Spagna campione l’MVP della manifestazione, il Phoenix Sun Ricky Rubio, era attorniato da “giocatorini” come il Raptor Marc Gasol, il Nugget Juancho Hernangómez, l’Hornet Willy Hernangómez? Che a completare il gruppo c’erano altri due ex, gli ex Portland Victor Claver e Rudy Fernández?
E’ vero, l’Argentina il “sapore NBA” lo percepiva solo in Luis Scola, ma è anche vero che il “Luifa” è stato il faro della selezione sudamericana, la luce verso la quale tutti si sono orientati per far arrivare la nave nel porto di una splendida e inaspettata “medalla de plata”. Il bronzo è andato alla Francia: i citati Fournier e Gobert sono in forza a squadre NBA così come Nicolas Batum, Frank Ntilikina, e poi ci sono l’ex (anche se con sole 23 partite in NBA) Axel Toupane ed il futuro Celtic Vincent Poirier. Quarto posto dell’Australia che poggiava su Aaron Baynes, Andrew Bogut, Pat Mills, Joe Ingles e Matt Dellavedova…
Fra un mese la maggiore lega professionistica di basket al mondo riaccenderà i motori: a bordo per la SESTA stagione consecutiva ci saranno più di cento stranieri e ogni squadra ne schiererà almeno uno. Sì, la World Cup è stata un brutto colpo per il marketing NBA che vende il proprio campionato come il migliore al mondo e deve costantemente dimostrare di esserlo. Che però i successi di Rubio, Gasol, Scola, Batum, Mills abbiano in sé sia il sapore dei luoghi in cui hanno imparato il basket sia quello in cui lo hanno raffinato contro i migliori al mondo, è una realtà evidente. Alla quale solo chi è preconcetto finge di non arrivare.
Il 24% dei giocatori NBA NON E’ AMERICANO: la lega è anche il ragazzino che ieri palleggiava nel campetto Lubiana, Madrid e Milano. Lo dimostrano Sergio Scariolo, Ricky Rubio e Luis Scola: anche quando non ci piace, l’NBA siamo noi. Invece di odiarla perchè è americana, dovremmo amarla perchè è sempre più globale, perchè ci sono i nostri ragazzi che stanno validando il nostro basket.