“I limiti come le paure, spesso sono soltanto un’illusione”.
Michael Jordan, Springfield, cerimonia della Hall of Fame 2009. Il premiato prova a convincere l’audience che potrebbe calcare il parquet anche a 50 anni, uno come lui ama le sfide e se avesse avuto l’opportunità e una forma fisica più atletica avrebbe allacciato l’ennesimo paio di Air Jordan. Come nel 1999, quando dopo la vittoria del sesto titolo con i Bulls aveva annunciato il secondo ritiro: “sono al 99,9% sicuro di non disputare più una partita in NBA”. Lo 0,01% però ha vinto, ha ribaltato le previsioni e ha spinto il numero 23 a tornare in campo a 38 anni.
COME BACK MICHAEL
Era il 25 settembre del 2001, l’America era ancora scossa da uno degli episodi più drammatici della sua storia, l’attentato alle Twin Towers. Michael Jordan, presidente e comproprietario dei Washington Wizards convoca una conferenza stampa: “torno per amore del gioco”. Love of the game come la clausola del suo contratto che gli permetteva di giocare ogni partita. In realtà a distanza di anni non si sa ancora di preciso cosa lo abbia indotto a indossare nuovamente la canotta numero 23, l’ultima immagine che ci aveva lasciato era la sua mano tesa dopo un canestro in faccia a Bryon Russell, il +1 sul tabellino e il terzo titolo di fila dopo il suo primo ritorno, una fotografia perfetta per cristallizzare la leggenda.
E invece ritorna e lo fa con il suo solito stile. Nella primavera precedente si allena in palestra e in campo per ritrovare la forma, allo stesso tempo assume Doug Collins, suo ex coach ai Chicago Bulls dal 1986 al 1989, come allenatore dei Wizards. Decide allora di devolvere il suo intero stipendio – 1 milione di dollari – alle vittime dell’attentato e il 30 ottobre 2001 scende in campo contro i New York Knicks.
40 POINTS AGED 40
La prima gara non va così bene, o meglio, non rispetta gli standard a cui Jordan ci aveva abituati: 19 punti, una tripla sbagliata a pochi secondi dalla sirena e sconfitta di misura per i Wizards (93-91). Durante la prima stagione l’età si fa sentire, il ginocchio destro cede e Michael è costretto a saltare diverse gare. La sconfitta brucia come bruciava negli anni ’90, ma ora il numero 23 è più maturo, gioca per i giovani della squadra e non se la prende troppo se Washington manca i playoff entrambi gli anni. D’altra parte i momenti da ricordare sono tanti. Come i 51 punti contro gli Hornets il 29 dicembre 2001 e i 45 contro i Nets due giorni dopo, con 22 punti di fila e una tripla doppia sfiorata (10 rimbalzi e 7 assist). La franchigia del New Jersey è la sua vittima preferita, perché l’anno dopo, il 21 febbraio, Michael batte i Nets 89-86, dopo una spettacolare gara punto a punto, ma oltre a questo, all’età di 40 anni (compiuti il 17 febbraio) segna 43 punti, diventando il più vecchio giocatore a varcare quella soglia. Lo fa senza pietà per gli avversari, metodico e cinico, segna tutti i canestri che contano, come se fosse tornato ai Bulls.
Impossibile non ricordare l’All Star Game del 2003. Una festa in onore di Michael, le divise sono quelle del 1988 quando venne eletto MVP della manifestazione, tutti giocano per lui, il pubblico ha occhi solo per le sue giocate, Mariah Carrie intona Hero con indosso un vestito a metà tra una canotta dei Bulls e una dei Wizards, un tiro allo scadere in fadeaway su Shawn Marion per regalare la vittoria alla Eastern Conference. Poi Kobe Bryant e la sua perfidia – in perfetto stile Jordan – mandano la gara a due overtime, regalando la vittoria alla Western Conference.
Ha chiuso la sua ultima stagione con 20 punti di media e quei punti se li è guadagnati, come ogni cosa nella sua vita, come gli aveva insegnato suo padre. Nell’ultima gara contro Philadelphia Jordan è fermo a 13 canestri, il pubblico avversario lo acclama a gran voce, coach Collins è costretto a inserirlo nonostante l’avesse fatto uscire pochi minuti prima stremato. Larry Brown, allenatore dei ‘76ers, dice a Eric Snow di fare fallo. MJ va in lunetta, 2 su 2, standing ovation, sipario.