Come è lontano il 23 giugno del 2016, quando Kris Dunn entrò al Barclays Center per partecipare al Draft. Il suo era uno dei nomi più caldi e attesi di quella serata, tutti gli esperti giuravano che sarebbe stato tra i primissimi a venire selezionati. Addirittura, qualcuno si spingeva ad accostarlo ai Celtics, titolari della terza scelta assoluta.
Dopo tante indiscrezioni, Dunn fu selezionato alla scelta numero 5 da Minnesota, desiderosi di trovare una “point guard” che potesse adattarsi al meglio ai dettami del nuovo coach Tim Thibodeau. Il guru difensivo era rimasto colpito dall’atletico play di Providence: eccellente mobilità laterale, mani veloci, ottimo nel giocare in anticipo sulle linee di passaggio, capace di battere l’uomo dal palleggio, migliorato al tiro in sospensione, in possesso di notevoli istinti per passare la palla. Difficile non concordare con l’ormai ex allenatore dei Timberwolves, a Dunn sembrava non mancare nulla per diventare uno dei protagonisti della NBA del futuro.
Ma qualcosa non ha funzionato.
L’anno da matricola le prime difficoltà. Con Ricky Rubio come play titolare, Dunn soffrì enormemente a trovare spazio e chiuse la stagione da “rookie” con delle statistiche anonime (poco più di 3 punti e 2 assists a partita). All’epoca la sua stagione fu bollata come una delusione inequivocabile, il non aver saputo scavalcare Rubio nelle gerarchie di Thibodeau venne visto come il segno di un’inadeguatezza ad alti livelli. Oggi questa valutazione sembra eccessiva e fuori luogo, soprattutto per quello che Ricky, eternamente sottovalutato, ha mostrato alla World Cup, ma all’epoca fu l’opinione più diffusa e accreditata.
Solo dopo dodici mesi dal suo ingresso nel mondo della NBA, Kris provò l’esperienza di essere ceduto. I Wolves decisero di acquisire Jimmy Butler, così Dunn (assieme a Zach LaVine e la settima scelta del Draft 2017, diventata Lauri Markkanen) fece le valigie e si diresse verso la “Città del Vento”. La situazione sembrava perfetta: i Bulls in piena ricostruzione, i tanti minuti a disposizione, la possibilità di prendersi le responsabilità e crescere. In effetti, Kris rispose con delle prestazioni promettenti. la media di 13 punti, 6 assists e 2 recuperi a partita, le oltre 11 penetrazioni a partita e l’impatto difensivo sembrarono indicare come Kris avesse iniziato a trovare confidenza con il gioco NBA.
Il campionato 2018/19 ha segnato un netto passo indietro. Quella che doveva essere la stagione della definitiva conferma, è stata al contrario deludente. Le statistiche non sono state poi così negative (11 punti, 6 assists, il 42% al tiro), ma non raccontano delle difficoltà incontrate. Prima un infortunio gli ha fatto saltare il primo mese di partite, poi Kris ha dovuto adeguarsi ad avere accanto, per la prima volta in carriera, un compagno come desideroso di gestire la palla come LaVine. Una situazione che lo ha destabilizzato prima tecnicamente, poi emotivamente: il dover giocare spesso lontano dalla palla gli ha impedito di trovare il ritmo partita, minando pesantemente la fiducia in sé stesso ed evidenziando i limiti che accompagnano ancora il suo gioco. Se il tiro dalla lunga distanza è diventato ancora meno visibile, Dunn ha visto scendere anche l’esuberanza che lo aveva reso, nel suo primo anno, un ottimo penetratore. Nel suo repertorio offensivo ha sempre più preso sopravvento il “mid tange jumper”, il famigerato tiro dalla media che rappresenta la soluzione più ostracizzata dai tecnici NBA, ormai seguaci rispettosi e convinti dei dettami delle statistiche avanzate.
I Bulls hanno visto in questo regresso più di un campanello di allarme, sembrano aver gettato la spugna e abbandonato il progetto che lo riguarda. La loro campagna estiva ne è una prova: dal Draft è arrivato Coby White, mentre sul mercato dei free agent è stato firmato Tomas Satoransky.
Il futuro di Kris sembra davvero segnato, ormai a Chicago aspettano solo l’occasione giusta per scaricarlo. Sarebbe la sua terza squadra in quattro anni, decisamente troppe per una “top pick” come lui.
Una fine davvero sorprendente ripensando a quel 23 giugno 2016.