A volte, i risultati non dicono tutto. I New Orleans Pelicans hanno perso le prime quattro partite della regular season 2019/20, ma in campo non si è vista affatto una brutta squadra. Indubbiamente c’è qualcosa da sistemare in difesa, soprattutto visto il potenziale dei singoli. Al momento, i Pelicans sono penultimi in NBA per defensive rating (punti subiti su 100 possessi) e ultimi per punti concessi in media agli avversari. I segnali positivi però non mancano, in questo inizio così avaro di vittorie.
La squadra di Alvin Gentry, a partire dall’ottima preseason disputata, sta sviluppando un’identità ben precisa, basata su ritmi alti, movimento di palla e intercambiabilità fra i giocatori. Nelle prime quattro gare stagionali, ben tredici componenti del roster hanno ‘assaggiato’ il parquet, e tutti hanno dimostrato di potersi ritagliare uno spazio importante nelle rotazioni; dal ‘finto rookie’ Nicolò Melli alle matricole ‘vere’, Nickeil Alexander-Walker e Jaxson Hayes, passando per quei giocatori pescati quasi per caso dal ‘sottobosco’ NBA, come Frank Jackson, Kenrich Williams e Jahlil Okafor.

In attesa del recupero di Zion Williamson (si parla di metà dicembre), gli osservati speciali di questo avvio di stagione erano i tre giovani arrivati dai Los Angeles Lakers come contropartita nell’affare-Anthony Davis; fino a questo momento, nessuno di loro ha tradito le attese. Josh Hart sta confermando i pregi mostrati in California: giocatore adattabile a qualsiasi sistema, estremamente affidabile in uscita dalla panchina e utile su entrambe le metà campo, specialmente nei finali di partita. Lonzo Ball deve ancora migliorare le percentuali (39% dal campo) ma, a differenza dell’anno scorso, non sembra più un corpo estraneo. La fiducia incondizionata da parte dell’ambiente e la consapevolezza di essere al centro del progetto tecnico potrebbero finalmente consentire al ragazzo da UCLA di esprimere un potenziale fin qui ‘soffocato’ dalle aspettative e dalla pressione che lo hanno accompagnato fin dall’esordio in maglia gialloviola. Il cambio di contesto sta facendo un’enorme differenza anche per Brandon Ingram, l’uomo-copertina di questa prima versione dei Pelicans 2019/20. Lo ha dichiarato lui stesso: “Direi che questo è un ambiente migliore, ci sono tante persone genuine. Niente contro i Lakers, che sono un’organizzazione di alta classe, fanno tutto bene ed hanno una buona tifoseria. Ma io preferisco il posto dove sono ora”.
Il numero 14 sembra rinato. A Los Angeles aveva mostrato sprazzi di puro talento, ma anche troppa incostanza, una certa ‘timidezza’ sotto pressione e un’evidente insofferenza nelle situazioni in cui non veniva utilizzato come ‘primo violino’ in attacco. Quello in maglia Pelicans è invece un giocatore convinto, determinato, fiducioso nei propri mezzi. Il suo avvio di stagione è degno di un All-Star: 22 punti, 5 rimbalzi e 5 assist nell’opening night contro i Toronto Raptors, 25 e 8 rimbalzi contro i Dallas Mavericks, 35 e 15 rimbalzi nella battaglia di Houston, 27+10 nella sconfitta più larga, il -11 contro dei Golden State Warriors in versione ‘leoni feriti’, dell’avvio di stagione dei suoi Pelicans. Il tutto con un rotondo 50% sia da campo, sia da tre punti (14 su 28). Numeri, atteggiamento e repertorio offensivo da uomo-franchigia, quello che i Lakers cercavano nel 2016, quando avevano speso per lui la seconda chiamata al draft.
Sia per Ingram (che la prossima estate sarà restricted free-agent, per cui New Orleans dovrà pareggiare qualsiasi offerta per tenerlo), sia per i Pelicans in generale, il vero esame è rappresentato dal rientro in campo della loro più grande attrazione. Per la posizione in cui è stato scelto, per il tempismo con cui è arrivato in Louisiana (in concomitanza con l’addio di Davis) e per quanto mostrato a Duke e nelle quattro partite di preseason (23.3 punti di media con il 71% dal campo), è inevitabile che i Pelicans diventino la squadra di Zion Williamson. Una volta riabilitato il ginocchio destro, operato per la rottura del menisco, il fenomeno da Salisbury (North Carolina) rischia di diventare un ‘elefante nella stanza’ per Gentry. Un ‘problema’ (tra moltissime virgolette) che ogni franchigia vorrebbe avere, ma comunque una matassa da sbrogliare. L’allenatore dovrà ritagliare per lui ampio spazio in una rotazione già da accorciare (è impensabile vedere in campo 12 giocatori in un’eventuale serie playoff). Molto probabilmente, Ingram dovrà fare mezzo passo indietro, cedendo al rookie minuti e responsabilità. A parole si è sempre ben disposti ma, per un giocatore finalmente ritrovato e nel pieno del suo contract year, sarà un ‘sacrificio’ tutt’altro che semplice da accettare. Per ora, i New Orleans Pelicans sono un cantiere aperto. Le fondamenta sembrano di altissima qualità ma, per sapere se verrà eretto un capolavoro o un ‘ecomostro’, bisognerà attendere che la pietra più preziosa venga finalmente posata.