A Gennaio 2019 “casa Pelicans” era sprofondata nel pessimismo dopo che Anthony Davis aveva dichiarato di non voler prendere in considerazione l’estensione contrattuale con la franchigia che lo aveva visto nascere come professionista nell’ormai lontano 2012. Poteva essere un disastro, l’inizio di una lunga ricostruzione piena di insidie ed invece David Griffin, il nuovo GM ex-Cavs aveva fatto buon viso a cattivo gioco, limitando i danni e spuntando una trade con i Lakers: Lonzo Ball, Josh Hart e soprattutto Brandon Ingram prendevano la via della Louisiana in cambio di Davis. Anche la fortuna aveva premiato la “Big Easy”, nella forma della prima scelta assoluta al draft, tradottasi in Zion Williamson, potenziale “crack” che nell’unico anno giocato a Duke aveva messo a segno medie di 22.6 punti e 8.9 rimbalzi a partita.
Dopo la rutilante “campagna acquisti” estiva, i tifosi avevano potuto tirare un sospiro di sollievo, recuperando almeno parte della fiducia nell’immediato futuro: una squadra giovane e ricca di talento alla quale erano state apportate aggiunte mirate (J.J. Redick) per regalare il necessario contribuito di esperienza erano bastate per scatenare un’impensabile, fino a pochi mesi prima, corsa al botteghino per gli abbonamenti. Certo, l’approdo ai playoffs era improbabile, ma se le cose si fossero messe subito a girare per il verso giusto, chissà…certamente un record vicino o addirittura superiore al 50% di vittorie non sembrava improbabile.
Purtroppo l’inizio di campionato non è stato ricco di soddisfazioni per i ragazzi di coach Alvin Gentry: una delle maggiori preoccupazioni su Williamson (il cui talento non è minimamente in discussione) era proprio la propensione agli infortuni ed in effetti, il 13 Ottobre scorso, durante l’incontro di preseason contro gli Spurs, peraltro chiuso a 22 punti e 10 rimbalzi, aveva accusato un dolore al ginocchio. Purtroppo quello che avrebbe dovuto essere un semplice risentimento si è rivelato un malanno piuttosto serio, la rottura del menisco. I tempi di recupero dopo l’intervento in artroscopia sono ben conosciuti e saranno compresi tra le 6 e le 8 settimane. Aggiungendo un congruo periodo per raggiungere il 100% della condizione e il necessario ambientamento ai ritmi NBA è facile pronosticare che per una buona metà della RS non avremo la possibilità di ammirare il vero Zion.
Anche considerando la defezione del giovane talento, tuttavia, il rendimento dei Pelicans è inferiore alle aspettative anche perchè Jrue Holiday, quella che avrebbe dovuto essere una delle “chiocce” di maggiore affidamento, sta tradendo le attese con prestazioni inaspettatamente al di sotto del par, basti pensare che se i giochi si chiudessero oggi il ragazzo avrebbe la peggior percentuale al tiro in carriera. Passando dai singoli al gruppo, è in particolare la fase difensiva a preoccupare: New Orleans, dopo 9 partite è la peggior franchigia della lega per punti subiti, ben 122.4 ad ingresso in campo, cui si accompagnano 17.9 palle perse, ad una frazione di punto dai peggiori, i Brooklyn Nets. Ovvio, tutto va contestualizzato, la squadra corre a mille anche considerati i ritmi elevatissimi di questa “nuova” NBA tutta “run and gun”, ma è evidente che il lavoro da fare è ancora tanto: il loro posto in classifica non può essere vicino ai Lakers, Clippers o Jazz ma nemmeno nel gruppone dei disastrati Warriors o dei balbettanti Grizzlies e Knicks.
Tra le note positive c’è senz’altro la conferma della pericolosità offensiva di Brandon Ingram (che tuttavia in difesa meriterebbe una lunga serie di tirate d’orecchi), in crescita esponenziale anche rispetto alla già ottima ultima stagione losangelina: non sono tanto i 25.9 punti ad allacciata di scarpe ad impressionare, ma la percentuale irreale dal campo, 53.7% con il 46.9% da tre punti, cui vanno aggiunti oltre 7 rimbalzi, tanta roba se consideriamo che Brandon è solo un 2.01.
Una nota per il “nostro” Nicolò Melli, ed anche qui le notizie non sono granchè buone: partito con il piede giusto all’esordio, quando ha messo a segno 14 punti in 19 minuti nella sconfitta contro i Raptors, ha presto bruciato il credito che gli era stato riconosciuto fino a (quasi) scomparire dalla rotazione nella vittoria di Sabato notte a Charlotte. Quello che gli viene chiesto è di mettersi dietro l’arco e colpire da tre, ma il suo approccio è ancora un po’ troppo “europeo”: qualche rinuncia a tiri “facili” per mettere palla a terra o per passare lo ha penalizzato e la NBA non perdona. Non tutto è compromesso ma il ragazzo dovrà essere bravo (e rapido) nel dare delle risposte.
I Pelicans sono a tutti gli effetti un cantiere aperto, ma se i risultati non dovessero arrivare in tempi brevi e la stagione virasse troppo “a sud”, probabilmente bisognerà rivedere almeno in parte le ottimistiche previsioni a breve termine per allungare gli orizzonti della ricostruzione. Poco male, in fondo: solo 9 mesi fa il futuro appariva comunque ben più nero.