Alla vigilia della nuova stagione, in molti davano i Toronto Raptors per spacciati. In effetti, la partenza di Kawhi Leonard, il fuoriclasse che aveva dato la spinta decisiva per il raggiungimento dello storico titolo NBA, aveva lasciato in Ontario un vuoto impossibile da colmare. Con i veterani della squadra in scadenza di contratto e i nuovi innesti (Stanley Johnson e Rondae Hollis-Jefferson) non certo all’altezza di chi se n’è andato (oltre a Leonard, anche Danny Green ha fatto le valigie), pensare a un’annata di transizione e a un’imminente ripartenza non era poi così pessimistico. Invece, i Raptors stanno dimostrando di non essere diventati campioni solo per merito del loro straordinario numero 2, incontrato per la prima volta da avversario lunedì 11 novembre (vittoria dei suoi Los Angeles Clippers allo Staples Center). D’altronde, nella passata stagione erano stati capaci di vincere 17 delle 22 partite disputate in sua assenza. Il loro inizio di 2019/20 è stato soddisfacente ben al di là della cerimonia degli anelli; 8 vittorie nelle prime 11 partite, tra cui spiccano i successi esterni contro Los Angeles Lakers e Portland Trail Blazers. Di queste 11 gare, ben 7 sono state giocate in trasferta. Un ruolino di marcia un po’ insolito, per una squadra in ricostruzione.

Il fatto è che questi Raptors non sono in ricostruzione. Anzi, il rebuilding sembra un’ipotesi che la franchigia non ha mai considerato. L’estensione contrattuale concessa a capitan Kyle Lowry (31 milioni di dollari nel 2020/21) è stata la prima dichiarazione d’intento, il primo segnale di continuità del progetto. Coach Nick Nurse ha ancora a disposizione un gruppo di giocatori solidi ed esperti, che hanno imparato a vincere e che ora si sentono a tutti gli effetti dei campioni NBA. La prova vivente di come la consapevolezza e la fiducia valgano quasi quanto il talento è Fred VanVleet. Promosso titolare dopo la partenza di Green, sta viaggiando a cifre impensabili, per un undrafted: 17.7 punti, 7.6 assist e 4.3 rimbalzi di media, conditi da quella furia agonistica che gli ha permesso di giocare un ruolo fondamentale nella memorabile cavalcata degli scorsi playoff. Anche Serge Ibaka sembra più fresco che mai, mentre il compagno di reparto Marc Gasol è visibilmente in difficoltà, probabilmente a corto di energie dopo la trionfale esperienza cinese con la Nazionale.
La migliore notizia per Nurse sono le prestazioni dei giovani, coloro su cui il general manager Masai Ujiri ha deciso di puntare per mantenere competitivi i Raptors. OG Anunoby, finalmente in salute dopo i numerosi problemi fisici del 2018/19, ha ritrovato il posto in quintetto e sta mettendo a referto le migliori cifre in carriera (11.4 punti di media, con un notevole 52.5% da tre punti). Hollis-Jefferson e il rookie Terence Davis (altro undrafted) stanno avendo un buon impatto, al contrario di uno Stanley Johnson su cui non sembrano esserci troppe speranze (lasciato in panchina da Nurse in metà delle partite giocate finora dai Raptors). E poi c’è Pascal Siakam.
Il camerunese, esploso in un 2018/19 culminato con il premio di Most Improved Player Of The Year, era atteso dalla stagione della conferma. In questa prima fetta di 2019/20, si può tranquillamente affermare che le aspettative siano state di gran lunga superate. Siakam è diventato l’indiscusso go-to-guy dei nuovi Raptors, mettendo insieme numeri e prestazioni che, salvo sorprese, dovrebbero regalargli a febbraio il primo All-Star Game in carriera; 26.2 punti e 98.7 rimbalzi di media e cinque gare oltre quota 30, tra cui l’esordio stagionale da 34 punti e 18 rimbalzi contro New Orleans e una prova da 44+10 sempre contro i Pelicans, l’8 novembre. Considerando che questa è solamente la sua quarta stagione NBA, il futuro dei Raptors sembra in ottime mani.
Anche il presente, però, può far sorridere i canadesi. Attualmente, Toronto occupa il terzo posto nella Eastern Conference, dietro ai lanciatissimi Boston Celtics e all’accoppiata Bucks-Heat. A differenza dei biancoverdi, i Raptors non hanno elementi nuovi da integrare e gerarchie da stabilire. A differenza dei Philadelphia 76ers, i loro giocatori di riferimento non rischiano di incorrere in qualche ‘dolore di crescita’. A differenza dei Milwaukee Bucks, i canadesi hanno già vinto. Sicuri che non possano quantomeno riprovarci?