In una mossa in gestazione da tempo, i New York Knicks hanno “silurato” l’allenatore David Fizdale aggiungendo per soprammercato anche il licenziamento del vice Keith Smart. Il nuovo allenatore, con un incarico “ad interim”, sarà il 55enne Mike Miller che nelle ultime quattro stagioni ha guidato i Westchester Knicks della G-League venendo nominato allenatore dell’anno nel 2018.
La squadra, schiacciata giovedì dai Denver Nuggets col punteggio di 129 a 92, era all’ottavo KO consecutivo che si era tradotto anche con l’ultimo posto nella Eastern Conference, con 4 vittorie e 18 sconfitte. New York ha il peggior attacco per punti segnati (103.7), per percentuale di tiro (42.2%), per saldo tra punti segnati e subiti (-10.8 a partita) ed efficienza offensiva (101.9 punti per 100 possessi). Le due sconfitte contro Nuggets e Bucks (88 a 132) li hanno resi la settima squadra nella storia NBA a perdere due gare con uno scarto di 35 o più punti. Fizdale aveva da poco doppiato la boa delle 100 partite alla guida dei Knicks con un flebile 21 vinte e 84 perse, e le ultime battute d’arresto gli hanno garantito il poco invidiabile record negativo per un allenatore della franchigia: il 20.3% di vittorie, di gran lunga inferiore al 28% fatto registrare da Larry Brown nel 2006 o al 29% di Derek Fisher tra il 2014 ed il 2016. Il coach era da tempo nel mirino del front office: il 10 novembre scorso, dopo la sconfitta contro i Cleveland Cavs, il team president Steve Mills ed il general manager Scott Perry avevano indetto una conferenza stampa improvvisata dichiarando di non essere soddisfatti della situazione. “La squadra non si sta esprimendo al livello che ci si aspettava e che ci aspettavamo, e dovremo trovare il modo per fare meglio”, ha dichiarato Mills.
Perché indire una conferenza stampa per segnalare qualcosa che poteva essere discusso a porte chiuse con i diretti interessati, coach e atleti? Il front office si stava preparando a far ricadere tutte le colpe sul “timoniere”. In ogni caso la squadra non ha recepito il “sense of urgency” della proprietà, visto che la risposta sono state le otto sconfitte filate con Fizdale chiaramente incapace di imprimere alla stagione una svolta positiva. E’ chiaro però che il coach, per quanto colpevole di non aver saputo assemblare al meglio il gruppo di giocatori, funge da parafulmine di una serie di situazioni tecniche che non dipendevano da lui. Non si può infatti dimenticare che 18 mesi fa venne ingaggiato per far crescere un roster in cui fulcro era rappresentato da un Kristaps Porziņģis infortunato, e che solo pochi mesi dopo il lettone era stato ceduto ai Dallas Mavericks allo scopo di creare spazio salariale per firmare un free agent di vaglia nel luglio scorso.
E la scorsa estate si è rivelata un clamoroso fallimento: con uno stuolo di atleti di alto livello a disposizione, i Knicks sono stati incapaci di firmarne anche solo uno: Kyrie Irving, Kemba Walker, Kawhi Leonard, Jimmy Butler, Al Horford tutti hanno preferito destinazioni diverse. L’obiettivo primario di Mills e Perry era Kevin Durant (infortunato) che si è elegantemente smarcato con un “i Knicks non sono interessanti” prima di accasarsi sull’altra sponda dell’East River, a Brooklyn, in quella che per i frequentatori del Madison Square Garden è stata una delusione difficile da ingoiare. Persi i free agent di maggior cabotaggio, New York si è tuffata su quelli di seconda schiera, ma anche qui i pezzi più pregiati sono finiti altrove. Malcolm Brogdon, Bojan Bogdanović, DeAndre Jordan sono finiti altrove mentre Mills e Perry puntavano su Julius Randle e Marcus Morris. Inutile sottolineare che il progetto è fallito. Randle sta fornendo cifre decisamente al di sotto rispetto alla passata stagione, è poroso in difesa e non trova alcuna intesa con il centro Mitchell Robinson: nei dieci minuti di media in cui la coppia è in campo, i Knicks prendono imbarcate da 18 punti, la peggior “coabitazione” nell’intera NBA. Il povero Morris non ci ha messo molto a rendersi conto che i Boston Celtics sono un’altra cosa soprattutto in difesa. La sua produzione sul lato “meno nobile” del campo ha subìto una seria flessione perdendo tre punti e scivolando ad un infelice 112.2 ogni 100 possessi. Dato inquietante, ma che se appaiato ad una calante produzione offensiva (da 110 a 105, sempre per 100 possessi) ci regala un saldo negativo di oltre 8 punti rispetto alle sue prestazioni in maglia biancoverde. Se Morris e Randle erano la coppia che doveva fungere da guida al gruppo di ragazzini, è chiaro che l’esperimento può considerarsi fallito dopo un solo quarto di stagione.
L’arrivo dei due a seguito del gran rifiuto di Durant però sono è stato solo l’ultimo atto di una disfunzionalità manageriale che affonda le radici nell’arrivo del proprietario James Dolan. Da vent’anni la franchigia cerca disperatamente di tornare ai fasti del passato, ma continua a inanellare risultati deludenti. Dal 2014 i Knicks hanno vinto 130 partite perdendone 302, ed il trend negativo sembra inarrestabile. In vent’anni hanno cambiato 12 coach, e alla fine, per quanto sia giusto attribuire a coach Fizdale le responsabilità nella gestione della squadra odierna, è innegabile che la costante – con l’unica eccezione del periodo di Donnie Walsh – è quella delle scelte tecniche disastrose. Da Isiah Thomas a Glen Grunwald, da Phil Jackson a Steve Mills, New York non ha mai trovato la continuità per risollevare le proprie sorti. Dopo Pat Riley solo due allenatori sono riusciti a “cavalcare” la bollente panchina per più di due stagioni: Jeff Van Gundy e Mike D’Antoni.
“Il pesce puzza dalla testa”, ed è chiaro che se è Dolan a scegliere i propri collaboratori, la maggior parte delle responsabilità deve ricadere su di lui. Ed i salaci tifosi newyorchesi ormai lo hanno immortalato in decine e decine di battute che impazzano nei locali della “stand-up comedy” di Broadway. Un paio di esempi?
“Chi è un giocatore dei Knicks con un anello di campione”? “Un anziano”.
“Sei in una stanza con una pistola, due colpi, un leone, un serpente a sonagli e James Dolan: a chi spari”? “A Dolan. Due volte”.
Le spiritosaggini però di fermano qui, visto che il gioco dei Knicks non induce al buonumore. Ora Miller è messo al timone di una nave in mezzo alla tempesta e al comando di un equipaggio poco funzionale. Chissà se un giorno il proprietario della franchigia si renderà conto che la guida tecnica è l’ultimo dei suoi problemi? Chissà se comincerà a mettere in discussione le scelte del front office e – magari – le proprie? Perché ormai è chiaro che l’unico denominatore comune in tutti gli ultimi 20 anni di sconfitte è proprio lui, James Dolan.