Fischi per i Sixers, la scorsa notte, dagli spalti del Wells Fargo Center. La squadra che solo due giorni prima era l’unica imbattuta tra le mura amiche nell’intera NBA è uscita dal campo tra i “boo” dei suoi tifosi dopo la terza sconfitta consecutiva e la seconda battuta d’arresto casalinga.
E’ stato soprattutto il modo in cui i 76ers hanno ceduto di fronte ai Dallas Mavericks (orfani di Luka Dončić, a irritare i combustibili fan locali: uno stop con 19 punti di scarto (98 a 117) e soprattutto senza mai riuscire a venire a capo del “fortino” messo in piedi dai texani, a lungo arroccati nella più classica delle difese a zona. Possibile che dopo il KO patito due giorni prima per mano dei Miami Heat, anche loro affidatisi alla zona, in quarantott’ore una delle “contender” non fosse riuscita a pianificare qualcosa di meglio dell’attacco confezionato contro i Mavs? Solo Joel Embiid è sembrato preda del “fuoco sacro” che dovrebbe divorare le squadre vincenti dopo due partite perse, gli altri hanno permesso a Tim Hardaway Jr. e Kristaps Porziņģis di fare a fette una delle prime otto difese del campionato.
Quali sono i problemi di Philadelphia? Il primo, sottolineato già l’estate scorsa dagli addetti ai lavori, è la scarsità di tiratori perimetrali e di “clutch shooter”, giocatori che amano gestire la partita nei momenti caldi. Le partenze di J.J. Redick e soprattutto di Jimmy Butler erano state bilanciate solo in parte dagli arrivi di Josh Richardson e Al Horford. Richardson, lo si sapeva, in attacco è meno pericoloso di Redick ma supplisce con delle doti di difensore superiori alla media, Horford doveva invece fungere da “collante”, regalare stabilità nei momenti di riposo di Embiid e creare maggiori spazi per le scorribande al ferro del centro camerunese e di Ben Simmons.
Il progetto non è per ora riuscito: i Sixers faticano contro le difese a zona soprattutto nel momento in cui Simmons non ha migliorato la sua pericolosità dalla distanza e Mike Scott dalla panchina appare in difficoltà. Sia Embiid che Simmons rendono al meglio quando “dominano” la palla, ma non possono farlo contemporaneamente e finiscono per pestarsi i piedi a vicenda. Tobias Harris continua a fornire un apporto valido, ma a Philadelphia ci si aspettava una terza stella, quando si è andati a prenderlo, e non che si trasformasse in un comprimario – per quanto solido. E pure nel caso di Horford, considerando età e salario, si sa che il futuro è adesso, e per ora il suo arrivo non ha portato i miglioramenti attesi.
Le cinque vittorie di inizio stagione hanno illuso: si pensava fossero lo “standard” stagionale ma invece si sono rivelate – se non un fuoco di paglia – quanto meno illusorie. Per quanto i Sixers si siano confermati, come nella passata stagione, una squadra solida e compatta (migliore del lotto a rimbalzo e nella percentuale di canestri su assist, che testimonia una valida costruzione offensiva e la giusta mentalità), il dato relativo all’efficienza offensiva è un mediocre 108 punti per 100 possessi. Quando le avversarie l’hanno sfidata a batterle dal perimetro, sfruttando il suo tallone d’Achille, Philadelphia si è innervosita ed ha permesso che il tarlo del dubbio prendesse piede.
I fischi del Wells Fargo Center sono forse ingiusti, specie considerando che coach e atleti stanno lavorando sodo per regolare il motore. I problemi della squadra sono strutturali ed i meccanismi di adattamento tra leader e subordinati all’interno del gruppo invece di generare una “corsa virtuosa” verso l’eccellenza, sembrano aver creato invece un “ordine di beccata” confuso che assegna ruoli ad atleti non in grado di interpretarli. Brett Brown non riesce a fare chiarezza in questo complesso groviglio relazionale/sportivo, e Philadelphia fatica a decollare anche perché le altre non stanno a guardare, ma migliorano a vista d’occhio.
Un anno fa, insoddisfatti della piega presa dal “Process”, i Sixers avevano iniziato la rivoluzione del roster con gli scambi per Jimmy Butler (novembre 2018) e per Harris (febbraio 2019). Oggi non avrebbe senso farsi prendere dal panico e gettare il bambino con l’acqua sporca, ma è fuori discussione che qualcosa deve cambiare, affinchè la squadra diventi la contender che tutti si attendevano fin da luglio. Ma è chiaro che, tra le favorite della vigilia, Philadelphia per ora è quella che convince di meno.